17- Yonderly.

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Yonderly: (adj.) mentally or emotionally distant: absent minded.

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Lilith.

Colpii il sacco da boxe un'altra volta ancora, la rabbia si scatenava in me, un'immagine vivida del mio volto, del mio corpo e immaginavo di sferrare un colpo dopo l'altro nel mio stomaco. Ogni minuto intensificavo la potenza dei pugni, spingendo la forza al limite. Erano passati quattro giorni dalla notte in cui il respiro di Julian si era mescolato al mio, il suo viso tra le mie cosce e i miei sospiri nell'aria. Glielo concessi con leggerezza, lo avevo desiderato come una giovane ingenua, ma quando aveva cercato di imprigionare i miei polsi nelle sue mani, mi spaventai.

Quel gesto, forse compiuto solo per darmi più tempo, poiché ero ancora sconvolta, il mio cervello lo interpretò irrimediabilmente come un tentativo di dominazione. Di nuovo, precipitai in quei ricordi oscuri: un letto trasandato, una spalliera in ferro battuto arrugginito, i polsi stretti nella cintura di mio padre e le bruciature che cercavano di procurarmi dietro le spalle, la schiena, mentre mi costringevano ad aprire la bocca.

Un pugno, due pugni, tre pugni: tutti per la mia coscienza, tutti per la mia stupidità. Quando mi svegliai accanto al petto nudo di Julian, mi pervase quasi una sensazione di nausea. L'avevo fatto avvicinare troppo, proprio nel momento in cui avrei dovuto tenerlo lontano. Mi aveva pregato di dirgli la verità, di chiedergli aiuto. Non mentirò, per un attimo avrei davvero voluto aprirmi e raccontargli tutto, ma non potevo mettere a rischio la sua incolumità. In un modo o nell'altro, avrei preferito il suo odio e il suo disgusto al mettere in pericolo la sua vita.

«Non esagerare, prenditi un attimo» la voce di Nick alle mie spalle mi costrinse a interrompere l'allenamento. Ripresi fiato, tolsi i guantoni e afferrai la bottiglietta d'acqua che mi aveva offerto. «Cosa c'è che non va? Non ti vedevo in questa palestra da un bel po'».

«Avevo bisogno di sfogare» dissi semplicemente, avvicinando la bottiglia alle mie labbra.

Io, che di modi per sfogare ne avevo tanti, non riuscivo mai a sentirmi sul serio leggera. Il sesso con Gerard, i tagli sulle braccia, la musica, la palestra, gli scacchi, il lavoro: niente funzionava, non riuscivo neppure a lenire quel mare di disperazione in cui stavo annegando.

«E sta funzionando?»

«Certo» gli lanciai di nuovo la bottiglietta e la prese al volo.

«Vieni qui, prenditi una pausa» si sedette su una panca e mi invitò a imitarlo.

Inizialmente, rimasi in piedi cercando di rimettere i guantoni, ma quando tirò fuori dal suo borsone il pacchetto di sigarette, cedetti alla tentazione. Mi sedetti al suo fianco, bevvi un altro sorso d'acqua e poi presi la sigaretta che gentilmente mi aveva offerto. Nel silenzio circostante, scrutai l'ambiente cupo: eravamo soli; dopotutto, quella non era neanche una palestra vera e propria.

Era un edificio di due piani in discrete condizioni, trasformato in una sorta di palestra frequentata dai giovani del quartiere di Brixton per i loro allenamenti. A quell'ora, solo Nick e io eravamo presenti, così decidemmo di rimanere all'interno, evitando di uscire per fumare. Il piano superiore era dotato di un ring e di una stanza che assomigliava a un'infermeria; sebbene inaccessibile in quel momento, era lì che venivano organizzati tornei di boxe illegali, ai quali Nick partecipava con regolarità.

«Sei strana» mormorò Nick.

«Me lo dicono molte persone».

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