25- Penitence.

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Penitence: (n.) a deep sadness that a person feels for his sins and faults, the feeling of being sorry for something you have done because you feel it was wrong.

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Lilith.

Nascondersi dal proprio passato può sembrare un rifugio temporaneo, un modo per sfuggire ai ricordi dolorosi e a tagli ancora aperti. Tuttavia, il passato non è altro che un'ombra persistente, sempre pronta a riemergere nei momenti più inaspettati, a portare con sé il peso dei rimpianti e delle speranze infrante. Quando quel passato fa la sua ricomparsa, trascina con sé un dolore che sembra non avere fine, riaprendo ferite mai completamente rimarginate.

È come essere travolti da un'ondata di tristezza e disperazione, mentre ci si ritrova di fronte a ciò che si è cercato di dimenticare, a ciò che si è sperato di lasciarsi alle spalle. E così ci si ritrova a lottare con le proprie emozioni, con il peso delle scelte fatte e dei momenti persi, cercando disperatamente di trovare una via d'uscita da un labirinto di sconforto e rimpianti.

Ne ero sempre stata consapevole: rifugiarmi nelle conversazioni superficiali con Rose e immergermi nel lavoro non avrebbe mai aiutato la mia anima a sentirsi sollevata, né avrebbe lavato via il sangue tra le mie mani. Ripudiavo me stessa, detestavo ciò che ero; eppure, quando ad avvolgermi erano state le braccia di Julian e a battere contro il mio orecchio era stato il suo cuore, essere Lilith Andersen pesava un po' meno.

Una settimana esatta era trascorsa da quella notte e due giorni da quando ci eravamo rivisti al Guys' Night insieme ai suoi due amici. Ci scambiammo sguardi e poche parole, tornando ad essere quelli di sempre: lui il detective, io la sua sospettata; lui il cacciatore, io la preda; entrambi pedine di una partita a scacchi iniziata contro la nostra volontà.

Il fatto che non potessi sfuggire al mondo da cui provenivo era più chiaro che mai quella mattina di lunedì. Io e i ragazzi, tutti e cinque riuniti nel piccolo salotto di Gerard, ci trovavamo lì per discutere di un argomento che avrei preferito evitare a tutti i costi. Ma nessuno sembrava veramente disposto ad iniziare quella conversazione; ci limitavamo a scambiarci occhiate eloquenti e a parlare del tempo, delle giornate cupe e meno piovose del solito.

Mi alzai impaziente dalla poltrona e, al mio posto, si sedette Lauren. Cinque paia di occhi mi osservarono ansiosi mentre aprivo il pacchetto di sigarette ancora sigillato e ne accendevo una. Mi sedetti appena sul mobiletto su cui era poggiata la TV e ricambiai gli sguardi, analizzando ognuno di loro con un'espressione infastidita. Gerard, Blair e Trevor erano accomodati goffamente sul divano, Lauren sulla poltrona, mentre Nick aveva recuperato una sedia dalla cucina.

«D'accordo, inizio genuinamente a stancarmi» sbuffai, aspirando il fumo della sigaretta. «Mi avete chiamato quindici volte ciascuno negli ultimi tre giorni affinché io partecipassi a questa sottospecie di riunione di famiglia, ho dovuto chiedere un giorno libero ai signori Rogers; ora che siamo qui, nessuno si decide a parlare. State aspettando che lo faccia io? Perché per vostra informazione, non so proprio come aiutarvi se non mi spiegate cosa vi preoccupa».

«Max è a Chicago» informò Trevor.

«Ottimo, speriamo che il suo aereo si schianti durante il ritorno» commentai, facendo ridere Nick e Blair. «Mi avete chiamata per rendermi partecipe dell'agenda del pisciasotto?»

«Non fingere di non sapere perché siamo qui» borbottò ancora Trevor, tenendo gli occhi fissi su di me. «Max si è allontanato da Londra di proposito e rimarrà a Chicago fino a maggio, per te non è un campanello d'allarme?».

MIZPAHWhere stories live. Discover now