30- Jouska.

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Jouska: (n.) a hypothetical conversation that you compulsively play out in your head.

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Lilith.

Il tessuto della camicetta nera aderiva alla pelle, mentre gli skinny jeans erano così stretti da sembrare parte integrante del mio corpo. Era solo la seconda settimana di maggio, ma sembrava che l'umidità di Londra avesse deciso di anticipare l'estate. Nonostante indossassi vestiti prestati da Blair e non fossero poi così scomodi, non riuscivo a trovare conforto nemmeno dall'aria fredda proveniente dal condizionatore. La stagione estiva non era mai stata la mia preferita, e quel precoce arrivo non faceva che confermare le mie convinzioni.

«Ti prego, fa' presto o scoppierò in questi jeans» sussurrai alla ragazza dai capelli neri.

«Ti stanno stretti perché sei alta il doppio di me» commentò divertita, continuando ad analizzare con attenzione lo scaffale, alla ricerca della pomata perfetta. «Avresti dovuto portarti un cambio».

«Ti ricordo, carissima Blair, che siete state tu e Lauren a convincermi a rimanere per la notte» borbottai infastidita. «Quelle erano le vostre intenzioni fin dall'inizio, mi avete teso una trappola».

«Ma dai» rise di gusto. «Nick ha detto che ultimamente agli allenamenti sei molto assente e distratta, e noi cercavamo di aiutarti con una serata tra donne a base di skin care e cibo spazzatura» alzò le spalle.

«Nick dovrebbe imparare a farsi gli affari suoi» mormorai.

«Nick è preoccupato, e lo siamo anche noi altri» ammise.

Con un solo sguardo, Blair capì che non ero incline a discutere dei miei incubi ricorrenti o del mio ricadere nell'autolesionismo. Spiegare il motivo avrebbe implicato affrontare il fantasma di quell'uomo, un passo che non ero pronta a compiere.

L'arrivo del caldo e dell'estate non faceva che peggiorare la mia situazione mentale; non potermi nascondere dietro strati di maglie e sciarpe mi costringeva a confrontarmi con la realtà delle cicatrici sulle braccia. Esposte alla luce del giorno, quei segni del passato riportavano alla mente ricordi dolorosi e il disagio fisico provocato dai colpi subiti.

Sotto un cielo limpido e un sole radioso, la vita dei Foster Kids era un'illusione di normalità. Ma dietro quella facciata di serenità si nascondevano le catene invisibili dei loro doveri, imprigionati nell'esecuzione di ordini folli e illegali impartiti da Max. La nostra era una vita sospesa tra l'aspirazione alla libertà e la crudeltà della realtà.

«Controllo l'altro scaffale, credo di aver sbagliato reparto» mi avvertì, prima di allontanarsi.

Eravamo in una delle principali farmacie del distretto di Lambeth, decisamente non il posto più glamour per fare shopping. Io cercavo bende e fasciature nuove, mentre Blair era alla ricerca della pomata che Nick le aveva chiesto di prendere.

Si era fatto male a un ginocchio durante un incontro di boxe, fortunatamente nulla di grave, ma se avesse continuato a partecipare a quei tornei illegali senza regole avrebbe rischiato seri danni. Ancora una volta, non era colpa sua; la responsabilità ricadeva esclusivamente su quel viscido.

«Lilith?» una voce mascolina interruppe i miei pensieri.

Con un peso sul petto e un brivido di sorpresa, mi girai verso di lui dopo un profondo sospiro e un breve momento di chiusura delle palpebre, non immaginandomi di trovarlo lì, in quella farmacia.

«Ciao, detective» sforzai un sorriso. «È da un po' che non ci vediamo».

«E che non ci sentiamo» aggiunse freddamente.

MIZPAHDove le storie prendono vita. Scoprilo ora