Capitolo 17- 1°parte

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Tre mesi prima, regno di Lousele.

Gocce d'acqua risuonano sulle mattonelle del pavimento, smorzando con il loro tintinnare lo stridulo cigolio della porta che si spalanca davanti ai miei occhi. Ettore mi tiene per mano, non lascia la presa nemmeno quando un fante si scansa di lato per farci passare. Una seconda grata ci accoglie una decina di metri dopo, e un luogo ancora più fitto di ombre si palesa di fronte a noi. Ad attenderci un cavaliere del re intento a stringere una torcia fra le dita. L'altro braccio lo tiene sollevato per spronarci a seguirlo nel districato labirinto di corridoi.

Non mi sorprende che stiamo andando così tanto in profondità, addentrandoci nella parte più profonda del castello. Le spie nemiche approfittano sempre degli eventi importanti per avventurarsi fin qui, nel vano tentativo di ascoltare informazioni riservate.

«Quanto manca per arrivare dal sovrano?» la voce di Ettore frantuma il monologo dei ticchettii dei nostri stivali.

«Diversi minuti» brontola il cavaliere senza voltarsi indietro.

«Lisy, scommetto la tulep trovata nella candela, che il sovrano ci attenderà in una delle stanze della parte ovest» mi sussurra agitato estraendo dalla tasca una bussola, e nascondendo la sua claustrofobia dietro a un finto sorriso.

«Ovest? Hai perso in partenza. Sono state scelte tre volte consecutive le stanze degli orologi. Secondo me lo troveremo nella parte nord, nelle sale del ghiaccio.»

«Guglielmo non sopporta l'umidità e i ragni» afferma allentando il laccio dello scollo.

«Però la zona nord dei sotterranei è la più vicina alle scale che conducono agli appartamenti reali» controbatto alzando di poco il tono di voce.

«Silenzio voi due!» sbotta il cinquantenne tarchiato che ci sta scortando. Ci lancia un'occhiataccia prima di voltarsi, e con uno scatto deciso spalanca l'anta di un portone in legno.

Il mantello arancione dell'uomo si espande all'improvviso, dando volume alle sue spalle mingherline. In contemporanea una ventata umida mi raggiunge il viso. Chiudo gli occhi per la luce improvvisa. Nell'attimo in cui oltrepasso l'anta tarlata mi fermo di scatto fissando la miriade di fiaccole collocate sulla parete destra del corridoio. Le fiamme tremano, lottano per restare accese ma le goccioline che ricadono dal soffitto hanno la meglio su di loro. Alcune si spengono infondendo nell'aria un odore acre, altre riprendono vita grazie agli acciaini di un gruppo di soldati distanti da me una decina di metri. Il lato sinistro è una distesa di barre arrugginite aldilà delle quali non avverto grida umane bensì squittii di topi.

«Perché ci avete condotto nelle antiche prigioni?» chiedo al cavaliere portandomi una mano sulla spada, l'altra la premo contro il naso per l'odore nauseante. «Se era qui che dovevate scortarci non era meglio raggiungere questo luogo dal giardino e risparmiarci minuti preziosi?»

«Ordini del re, così come l'accensione delle fiaccole per consentire a entrambi maggiore visibilità» pronuncia seccato. «Dopotutto è scontato ottenere privilegi dal sovrano quando si è figli di grandi guerrieri».

Ettore fa un passo in avanti, ma distendo subito il braccio e lo posiziono contro il suo petto impedendogli di avanzare. Sono capace di difendermi da sola dai pregiudizi della gente.

Lo squadro dalla testa ai piedi soffermandomi sull'araldo che è gli è stato tatuato sul collo. «È scontato diventare cavalieri quando si discende da una famiglia di nobili illustri» gli rispedisco la frecciatina senza tanti complimenti.

Ettore sorride divertito. L'aristocratico sobbalza irritato di fronte alla mia risposta che di certo non si aspettava di udire. Sembra un vulcano pronto a eruttare parole minacciose. All'ultimo secondo ci ripensa e resta con le labbra sigillate udendo i suoi sottoposti ridacchiare. Nuvolette di vapore gli fuoriescono dalle narici, ricordandomi un drago, mentre avanza con passo sicuro sulle mattonelle ricoperte da secoli di sporcizia.

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