Capitolo 18- 2° parte

14 3 0
                                    

Solo uno di loro fa un passo in avanti, abbassa il cappuccio e riduce gli occhi a due piccole fessure. Mi basta una veloce occhiata all'araldo che ha tatuato al collo per provare disgusto.

«Mi siete sfuggita nel sotterraneo» ringhia il cavaliere «però ora la fortuna vi ha abbandonata» solleva la spada e si scaglia contro di me. «Dite le vostre ultime preghiere».

Mi inclino verso il basso e schivo il suo colpo. Tuttavia non faccio in tempo a evitare che una ciocca di capelli mi venga recisa. Così come era accaduto prima, altre lame mi colpiscono alla schiena frantumandosi contro la delicata sottoveste di Nari. Ringrazio Chul con il pensiero, mentre mi attacca un altro soldato. Prova a colpirmi il fianco, ma per sua sfortuna sono più veloce di lui e lo tramortisco lanciandogli l'elmo. Un istante dopo faccio perdere i sensi a un altro cavaliere, e sferro un pugno all'uomo barbuto che gli sta affianco. Mi asciugo con il palmo della mano la fronte imperlata di sudore valutando il da farsi. Sono troppo distante dal cavallo e l'unica via d'uscita è bloccata da altre decine di guardie che si aggiungono a quelle già presenti.

La spada di Ettore mi da la forza per combattere ancora, tuttavia faccio sempre più fatica a trovare il tempo per riprendere fiato. Le speranze di riuscire vittoriosa dallo scontro si assottigliano di minuto in minuto, con la stessa rapidità con cui giungono altri aggressori. Sollevo l'arma, pronta a scagliare anche su di loro la mia volontà di sopravvivere. Sono a un passo dal raggiungerli ma mi blocco all'improvviso notando che le spade dei nuovi arrivati non puntano su di me. Si direzionano feroci contro i miei nemici dandomi l'opportunità di scappare. Li ringrazio con un cenno mentre recupero l'elmo e mi avvicino rapida al cavallo. In contemporanea do una forte ginocchiata a un fante che tenta di afferrare le redini.

«Forza Tempesta! Galoppa più veloce che puoi!» esclamo accarezzandogli il collo prima di sfiorargli il fianco con gli stivali.

La scuderia diviene in un attimo distante, ma non mi sento ancora al sicuro. Incito il cavallo ad andare ancor più spedito mentre le sagome delle colline e delle montagne si riflettono solo per pochi istanti nelle mie iridi. La luce della Luna le illumina sempre meno lasciandomi in balia delle ombre che occultano il paesaggio. Stringo con forza la catenina di Ettore e rivolgo al cielo incessanti preghiere affinché lo protegga. Forse anche lui è stato attaccato, spero tuttavia che non è ferito così come i soldati che sono venuti a soccorrermi.

La sensazione di essere inseguita cala man mano che aumentano i chilometri che mi distanziano dalla capitale. Le gocce d'acqua si fondono con le nuvolette dei miei respiri, arrivano i tuoni e con essi un forte acquazzone. Per quanto mi è possibile, copro con i lembi del mantello il dorso di Tempesta mentre affonda gli zoccoli sulle pozzanghere che deturpano l'aspetto della strada che mi condurrà a Silenvre.

«Un ultimo sforzo, mancano pochi chilometri» lo incoraggio accarezzandogli la criniera e in seguito il muso.

Michelangelo non mi ha accennato a quale confine suo padre vuole inviarmi. Se sarò fortunata sorveglierò le praterie che condividiamo con il nostro alleato. Se Ettore farà arrabbiare Guglielmo, nel convincerlo ad affidarmi un altro incarico, questa sarà l'unica alternativa che mi resterà. Prendo familiarità con questo luogo che forse diverrà il nuovo panorama che dovrò vigilare per i prossimi anni.

Abitazioni abbandonate, muretti a secco in parte crollati e una baracca occupata da un gruppo di fanti di età avanzata mi danno il benvenuto a Silenvre. Non mi aspettavo di vedere nulla di diverso da un borgo vicino al confine con il regno Taufacifau. Le tracce della precedente guerra sono ancora visibili in ogni muro, e con rammarico osservo che nessuno si è preoccupato di riparare il pozzo ubicato nella piazza principale. Le torce e i bracieri collocati sulle vie mi offrono un esiguo conforto al vento gelido che mi lambisce le guance, e nel girare il collo verso destra osservo per la prima volta la foresta che per metà appartiene a ciò che è rimasto del popolo Taufacifanese. Mamma aveva ragione a soprannominarla stelle ghiacciate. Seppure è avvolta dall'oscurità, il candore delle cime di ciascun albero emana a intermittenza una luce propria, come se fossero degli astri pulsanti.

Anime ruggentiWhere stories live. Discover now