8. Dylan - Aiutare o non aiutare? È questo il dilemma (parte prima)

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«Devi dirmi che la mia è una pessima, pessima idea» proruppe Dylan quella domenica mattina, mentre faceva strisciare la sedia e prendeva posto al tavolo della sua cucina.

Jess, che quella notte aveva dormito da lui, stava preparando il caffè. Lo guardò da sopra la spalla, sollevando un sopracciglio. «È una pessima, pessima idea» gli fece eco. «Baby, cosa hai combinato? Sei stato con una persona sposata?»

Dylan sospirò. In effetti, non era la prima volta che si metteva nei casini ed esordiva in quel modo.

«Niente del genere» ribatté. «Se stai facendo il caffè lo voglio amaro e nero come la mia vita.»

«Oh-oh» cantilenò Jess. Azionò la macchinetta e dopo poco il suono rilassante dell'acqua riempì la cucina. «Quindi, è grave.»

Dylan mugugnò. «Non è grave. Non ho fatto niente» fece una pausa. «Ancora.»

«Significa che hai intenzione di fare qualcosa.»

Lui sollevò a malapena gli occhi sulla sua migliore amica. «Mi devi dissuadere. È un compito molto importante, Jess, e lo sto affidando a te.»

L'amica rise. «Sicuro che io sia la persona più adatta?»

«Per niente, ma chi mi resta?» bofonchiò. «Se ne parlassi con Allison mi convincerebbe a vendere l'anima al diavolo pensando di poterlo salvare.»

«Chi?» Jess sembrava confusa.

«Il diavolo» puntualizzò lui, minimizzando con un vago gesto con la mano.

Dopo alcuni minuti, Jessica spense la macchinetta del caffè, estrasse la caraffa e riempì due tazze. Dylan ricordò il giorno in cui era tornato dalla pausa estiva, e in generale altri piccoli momenti in cui Jess si era occupata di lui anche solo preparando un caffè o un tè. Era confortante, faceva parte della sua quotidianità.

La ragazza si avvicinò al tavolo. Sistemò la tazza sotto il suo viso, poi si sedette di fianco a lui. Incrociò le dita sulla ceramica e lo guardò con attenzione.

«Mi dici cosa succede?»

Dylan poggiò la schiena contro la sedia. «Sto riflettendo su una cosa.»

L'immagine di Travis, inginocchiato sul giardino della confraternita e scosso dai singhiozzi, gli aveva lasciato l'impronta di uno strano malessere. Era così debole, così fragile. In frantumi.

Lo sai.

Quindi, alla fine, ci aveva visto giusto.

Non conosceva bene Travis. Lo aveva incontrato spesso nell'ultimo periodo, solo perché lui frequentava di più i Fallwood Wolves a causa di Drew. Aveva intuito che non fosse etero e nascondesse il suo vero orientamento sessuale.

Quello spiegava molte cose: gli insulti omofobi, l'aggressività per proteggersi quando si sentiva minacciato, la sofferenza visibile. Ma, soprattutto, spiegava il modo in cui guardava Drew, come se avesse una cotta per lui o lo trovasse attraente.

L'istinto di Dylan raramente sbagliava e a quanto pareva anche quella volta aveva fatto centro.

C'era stato un momento, quella sera al pub, in cui Travis gli aveva fatto pena. Per quel motivo gli aveva quasi offerto il suo aiuto. Ma lui l'aveva respinto e, siccome era un estraneo, Dylan aveva deciso di lasciarlo perdere. Non erano affari suoi, se l'era ripetuto spesso, e anche in quel momento lo pensava.

Però...

Però lo rivedeva inginocchiato sull'erba, con il viso pallido deformato dalla paura. Poco più tardi aveva saputo che Travis aveva spintonato un ragazzo perché ci aveva provato con lui.

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