13. Dylan - È abbastanza (parte seconda)

336 59 137
                                    

Quella mattina, prima delle lezioni, aveva appuntamento con Drew nella caffetteria del campus.

Quando uscì dalla sua camera, si fermò.

Travis dormiva raggomitolato sul divano, avvolto in una coperta troppo striminzita per lui.

Avevano parlato fino a notte fonda e, alla fine, gli aveva concesso di restare a dormire.

Ancora frastornato dalla loro conversazione, Dylan continuò a fissarlo.

Nel sonno, la fortezza impenetrabile di Travis si sfaldava, lasciando intravedere la fragilità tra le crepe. Il suo viso era rilassato, la fronte distesa. Aveva le labbra leggermente dischiuse e le palpebre sfarfallavano. Dormiva con le braccia incrociate al petto e la testa poggiata sul bracciolo. Una gamba spuntava oltre il bracciolo opposto, mentre l'altra era piegata. Quel divano a due posti doveva essere scomodo per uno della sua stazza.

Dylan si mordicchiò l'interno della guancia.

Non si era sbagliato sul suo conto.

Travis soffriva a causa del contesto in cui era stato cresciuto. Non era la prima volta che sentiva storie simili, anzi, la sua non era neppure tanto tragica.

Era contento di aver seguito l'istinto, in fin dei conti. Dietro quel comportamento pieno di rabbia, si nascondeva soltanto molto dolore.

Aprì la tracolla, tirò fuori un quaderno e strappò una pagina. Scrisse un breve messaggio per lui, che lasciò sul tavolo. Recuperò uova e padella, poi le sistemò vicino al piano cottura, in modo che Travis potesse prepararsi la colazione.

Uscì dall'appartamento e montò sul pick-up. Prima che avviasse il motore, il cellulare gli vibrò nella tasca.

Lo estrasse e, quando vide il nome sul display, sorrise con affetto.

Accettò la chiamata e mise il vivavoce, mentre partiva. Alcune spie del cruscotto si accesero. Dylan non capiva niente di motori e automobili. A volte succedeva, non era così insolito, quindi le ignorò con estrema nonchalance.

Male che vada resto a piedi. Quel catorcio era da buttare.

«Tesoro, buongiorno» lo salutò sua nonna.

Dylan abbassò lo specchietto e strinse gli occhi a causa del sole. «Ciao, bellezza.»

La nonna rise. «Come stai? Ieri sera non ci siamo sentiti.»

Già, ieri sera...

Svoltò a destra. Il viale era sgombro di auto, a quell'ora del mattino.

«Sono, ehm, stato occupato.»

«Una ragazza? O un ragazzo?» La voce allegra del nonno si intromise nella conversazione. «Vi siete divertiti?»

«Derek! Lo metterai in imbarazzo, così» lo rimproverò la nonna.

Dio, quanto li amava.

Il pensiero di fare coming out con loro lo aveva impensierito, in passato: dopotutto erano persone di una generazione diversa con una minore apertura mentale. Invece non avevano battuto ciglio, quando lo avevano sorpreso a pomiciare con un compagno di scuola. Lo avevano anche invitato a cena per conoscerlo meglio.

Grace e Derek amavano Dylan sopra ogni cosa, e lui era grato di essere loro nipote.

Sorrise. «Ho aiutato una persona.»

«Come mai? Stava male?» chiese il nonno.

Dylan superò il cartello che citava "Fallwood University.

«Mmh, diciamo di sì.» Cercò di non entrare troppo nei dettagli. «Credo che parlare gli abbia fatto bene.»

«Sei un ragazzo d'oro» lo lodò la nonna.

Losing MatchWhere stories live. Discover now