11. Travis - Riprendere fiato (parte seconda)

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Erano trascorsi alcuni giorni da quando aveva parlato con il coach. Purtroppo, le cose non erano andate meglio.

Giocare con Drew senza la presenza di Greyson era una tortura. In qualche modo l'assenza di Quinn lo rendeva più accessibile, almeno nella sua testa. Non riusciva a smettere di guardarlo. Quei capelli maledetti, poi, lo facevano impazzire. I pensieri sfrecciavano in modo disordinato quando gli era accanto, e concentrarsi sul basket era impossibile.

In due parole: faceva schifo. La sua resa sul campo era ridicola, nonostante si impegnasse. La frustrazione gli scorreva sottopelle ogni volta che metteva piede sul parquet.

La sala pesi era diventata la sua unica salvezza, correre sul tapis roulant o sollevare il bilanciere lo aiutava a distrarsi.

Quando tornava a casa, però, un macigno lo schiacciava. Era diventato molto difficile conviverci.

Si sentiva chiuso in un labirinto, diviso tra i suoi reali desideri e i suoi doveri. Come nel mito delle due madri, presto si sarebbe spezzato a metà.

In quei giorni complicati aveva aperto più volte la chat di Dylan, abbandonata alla settimana precedente, ma se ne vergognava subito e rinunciava prima di fare qualsiasi cosa.

Quella sera, Travis si stava tagliando la barba di fronte allo specchio del bagno. Inclinò il collo verso l'alto e passò la lametta sul pomo d'Adamo.

Il cellulare, poggiato sul marmo del lavandino, squillò.

Diede una rapida occhiata e sbiancò.

Era sua madre.

Si tamponò il collo e il viso con l'asciugamano, e accettò la chiamata con un tuffo al cuore. Cliccò sul vivavoce, mentre appoggiava il fondoschiena al mobile.

«Travis» sbottò lei. La sua voce infastidita risuonò attraverso il microfono.

«Ciao anche a te» bofonchiò.

«Non ti ho chiamato per i convenevoli.»

«Certo, figurati se mi chiami per sapere come sto» esclamò lui, senza curarsi di nascondere l'irritazione. Iniziava a formicolargli sulla pelle come una corrente elettrica continua.

«Modera il tono» lo interruppe. «Ho saputo da Kennedy che gli allenamenti vanno male. Ti giochi il posto da titolare nel torneo, ne sei consapevole?»

«Magari mi va bene» controbatté lui, anche se era una bugia. Infastidirla divenne un bisogno. «Magari me lo merito. Magari, cazzo, ho solo bisogno di riprendere fiato.» Il cuore gli batté a una velocità assurda. Il sangue gli ribolliva nelle vene.

«Prenderai fiato» sibilò la madre, «quando una squadra NBA ti selezionerà per il draft

Travis scoppiò in una risata amara. «Sì e poi? Mi romperai i coglioni perché dovrò ottenere un contratto? E, se l'otterrò, me li romperai perché dovrò essere il miglior rookie della stagione?» A quel punto aveva alzato la voce. Ne aveva abbastanza delle sue pretese, della pressione costante.

Devi dare il massimo, Travis. Devi essere il migliore.

Vaffanculo, cazzo. Era un essere umano e non ne poteva più di sforzarsi fino a rischiare l'esaurimento nervoso.

«Ricordati che una carriera non si costruisce battendo la fiacca» replicò lei in tono acido. «Si deve sputare sangue.»

Travis si passò una mano tra i capelli, le dita che tremavano. «Perché ti importa tanto?»

«A te non importa? Credevo di sì» ribatté lei. «Tuo padre ha una certa reputazione, Travis, è l'allenatore dei Boston Celtics. Era un campione. Che figura ci fai fare, se resti mediocre?»

Losing MatchWhere stories live. Discover now