12- Dylan - È abbastanza (parte prima)

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Porca zozza, Travis Murray è nella mia auto.

Dylan infilò la chiave nel quadro e diede una sbirciatina al ragazzo seduto di fianco a lui.

Travis agganciò la cintura di sicurezza. Mentre compiva quel gesto, i capelli gli scivolarono sugli occhi, nascondendo a Dylan l'espressione.

Il suo pick-up di solito puzzava di morte, però quella sera il dopobarba di Travis riempiva l'abitacolo ed era una gradevole novità.

Lui, invece, aveva sei ore di lavoro alle spalle e doveva farsi una doccia. Vabbè, avrebbe aspettato al giorno successivo.

Aveva invitato Travis a casa sua perché non potevano certo parlare di fronte al pub. Quel tipo di conversazione richiedeva privacy, inoltre iniziava a fare freddo, aveva fame ed era a pezzi per via della lunga giornata.

Riportò lo sguardo sul parabrezza e fece partire la macchina. Accese lo stereo, perché odiava il silenzio, e la musica degli ATEEZ stridette nelle vecchie casse.

Cominciò a guidare, canticchiando la canzone. Era stonato come una cornacchia, ma non gliene importava niente. Travis si sarebbe adattato.

Il ragazzo guardò lo stereo, evidentemente contrariato, e sbuffò. «Cos'è questo... rumore

Dylan gli scoccò un'occhiata in tralice, offeso nel profondo. «Si chiama musica, non rumore. È uno dei miei gruppi k-pop preferiti.»

L'altro arricciò il naso in una smorfia e sigillò le dita sui bicipiti. «Non so nemmeno cosa sia il k-pop.»

«Santo cielo, non sarai mica emo come Drew?»

Travis ammutolì e non pronunciò neppure una parola per un po'. Dylan volle smorzare l'atmosfera pesante.

«Ti sto portando a casa mia» gli ricordò.

«Lo so.»

«Quindi, visto che ti sto offrendo asilo e sono stato tanto gentile con te, non uccidermi» scherzò.

Travis continuò a guardare fuori dal finestrino, le mani ancorate alle braccia. Era schiacciato alla portiera, come se stesse valutando se scappare o meno da quella situazione.

«Dipende» commentò poco dopo.

«Da cosa?»

«Da quanto mi farai perdere le staffe.»

Dylan ridacchiò. «Anche tu sai fare le battute. Sono impressionato.»

«Non era una battuta.»

L'angolo delle sue labbra si curvò in un sorriso. Pensò di prenderlo un po' in giro, tanto per tirare la corda.

«Sai, Travis, a me piace paragonare le persone agli animali.» Aveva paragonato spesso Drew a un gattino randagio, infatti.

«Penso che se continuerai a parlare rischierai davvero la vita» borbottò lui.

Dylan lo ignorò. «A volte mi ricordi un cane.»

«Un cane.»

«Un cane, sì. Uno di quelli grossi, rabbiosi.» Girò il volante, il pick-up prese un dosso e sobbalzò. Entrò nella strada buia davanti al suo appartamento. «Abbai tanto, ma non mordi mai.»

«È meglio che tu non sappia quando mordo.»

«I morsi li accetto solo durante il sesso» replicò Dylan, tranquillo, mentre parcheggiava.

Travis si girò di scatto e lo fissò quasi scandalizzato. Le dita erano serrate così tanto ai bicipiti da essere bianche.

Dylan tirò il freno a mano e spense il quadro. «Siamo arrivati.»

Losing MatchWhere stories live. Discover now