Capitolo 9

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Ero arrabbiata si, ma in quel momento non avevo tempo nemmeno per arrabbiarmi.
Dovevo fare qualcosa, dovevo cercarla e capire che cosa le era successo, anche se temevo di saperlo già.
Era quella maledetta polvere, quella spazzatura che affievoliva, indeboliva e annullava i sensi, li addormentava e spegneva il lume della ragione per lasciare spazio al buio, ad un buco nero nella testa che ti cancellava temporaneamente la memoria.
Ti rendeva vuota, ma vuota non eri, eri solo colma di adrenalina e insensata pazzia.
Lei era annientata, azzerata, soppressa, vanificata, ingannata ed illusa da se stessa.
Era convinta che quello era il modo migliore per vivere.
Quella roba l'aveva resa schiava, l'aveva cambiata, l'aveva allontanata da tutto e l'aveva resa incapace di provare veri sentimenti.
Da quando ci era cascata, da quando quel gioco era diventato troppo pericoloso, lei non era più la stessa.
C'era dentro fino al collo e proprio come me, non era abbastanza forte per vincere quella battaglia.
La stava dando vinta a quella sostanza micidiale, si stava arrendendo senza chiedere aiuto, o forse aspettava che qualcuno la salvasse?
O aspettava proprio me ed io ero incapace di comprenderlo?

"Paige stasera ti va di venire con me, ci divertiamo un po"

La sua voce mentre diceva quelle parole mi ritornò in mente ed io mi sentii morire, perché se fossi andata con lei, se avessi per un attimo messo da parte i miei problemi, se avessi per un minuto smesso di essere egoista avrei potuto evitare quella situazione.

Si io mi sentivo egoista perché con i miei atteggiamenti chiusi, con il mio costante avere paura, con il mio assiduo soffrire, con la mia debolezza e il mio arrendermi non solo stavo male io, ma facevo star male anche la mia famiglia e chi mi stava intorno.
Mi isolavo e dimenticavo che non ero l'unica ad avere un tetro passato, ma c'era chi come me si stava arrendendo alla vita.
Ed io ero lì, che me li lasciavo passare accanto quelle persone senza neanche provare a dare una pacca sulla spalla, senza neanche dire "basta smettila, non concluderai niente così".

Quante volte avrei voluto urlargliele quelle parole, ma non lo facevo perché con che diritti avrei potuto farlo io? Io che mi graffiavo? Io che portavo sulla pelle gli sfoghi che non avevo il coraggio di dire a parole?

No! Ormai ero convinta di non essere adatta a dire quelle parole, ma di essere adatta solo a divenire bersaglio di lacrima e pena.

"Allora!? Che ti succede adesso?"

Scesi dal pick up senza neanche dare una spiegazione a Larry.
Sapevo dov'era Stephy.
Sapevo dove si procurava quella roba.

Erano le ventitré e cinquantasette minuti quando arrivai sul posto.
Mancavano solo centottanta secondi alla mezza notte. Tre fottutissimi minuti per passare al 27 novembre.

Non potei mai dimenticare quel dettaglio, non potei e non riuscii mai a dimenticare nessun dettaglio di quel giorno interminabile che cambiò per sempre la mia vita, che condizionò ogni cosa, ogni mio tutto.

Ricordo che era molto buio, un buio tenebroso e cieco, e mi trovavo in una stradina secondaria più deserta rispetto alle altre.
C'erano delle case vecchie e abbabdonante intorno, e giù in basso, vicino ad una di queste case squallide, c'era una porticina in ferro battuto che portava ad un piccolo seminterrato.

Era quello il posto che frequentava Stephy, era quella la casa degli orrori in cui entravi lucida e ne uscivi che non capivi più nulla, che tu non eri più tu.

Da fuori sentivo la musica ad alto volume insieme alle urla estasiate della gente e un'odore forte di alcol impregnava l'aria fredda ed umida di quella notte nera.
Non ci fu bisogno di entrare per trovare Stephy, era lì a terra, sull'asfalto rigido e irregolare con piccoli fossi, ed io avrei voluto che un baratro mi inghiotisse per scappare da quella realtà.

Save me (#Wattys2016)Where stories live. Discover now