Capitolo 13

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Il 27 dicembre arrivò portando via con se altre delle mie lacrime salate.
Un mese. Un mese ad affondare la testa in un cuscino umido, incapace di asciugarsi all'ombra protettiva della notte.
Un cuscino che mi ascoltava in silenzio, mentre io lo tartassavo con i miei singhiozzi e le mie unghie stringevano la morbida stoffa per trattenerli.
Un mese con i morsi del dolore che non si quitevano e insistenti mi divoravano l'anima.

Il giorno del ringraziamento capitò poco dopo il funerale di Stephy, e anche quella giornata importante, restò lì, sul calendario a trascorrere con la mia totale indifferenza.
L'aria di festa e dei cibi tradizionali mi dava la nausea in quel periodo.
Il clima che gli americani respiravano fuori era troppo contrastante col mio.
Con quel gelo intorno al cuore, che faceva da cerotto a quei crateri disegnati dal tempo e mi separava dal resto del mondo.
Anche Natale era passato fra i miei finti sorrisi e le luci in festa di New York.
Il profumo del Christmas Pudding con la salsa al brandy, che aveva preparato mia madre, era rimasto impresso nell'aria fredda di quell'inverno rigido.
Ero anche dimagrita. Lo specchio faceva fatica a riconoscermi e a volte mi pareva di perdermi nel mio minuto riflesso.
I segni rossi sui miei polsi non erano aumentati, perché raramente sentivo l'esigenza di affogare in quel tetro rosso, che sgorgava dalla mia pelle pallida.
Ero sempre la stessa Paige, nessun importante cambiamento.
Persa e sperduta in una vita.
Persa nella mia, di vita e nella frenesia di New York, che mi sferzava il viso insieme alle luci colorate, il vento freddo e le strade imbiancate.

La notte si accendeva in festa.
I canti natalizi, la gioia dei bambini, che per mano tenevano le mamme e i papà.
Bianca o nera era la loro pelle, la stessa allegria riempiva i loro volti spensierati.
Un'allegria di cui io, oramai, conoscevo solo il nome, ma il significato lo avevo smarrito per strada tempo prima.
I ricordi lontani della bambina che ero, mi affollarono tempestivamente la mente.
Un filo lungo di immagini disconnesse, che avevo quasi sbiadito, che involontariamente e senza nemmeno accorgermene, avevo accatastato e messo da parte in un angolo protetto del cuore.
Nascoste, come per paura di perdere anche quelle.

"Il ricordo della felicità, non è più felicità.
Il ricordo del dolore è ancora dolore"

Recitava il pensiero di Albert Einstein, che sicuramente aveva assaporato tutte le varie sfaccettature della vita.
Pensiero triste questo, ma forse il più vero che avevo mai sentito.
Mi sforzavo di ricordare la mia felicità, la mia infanzia, ma non riuscivo a risentirla.
Non riuscivo a rivivere lo stesso sorriso.
Ricordavo il dolore e lui inevitabilmente c'era sempre.
Fedele più di una promessa e infinitamente vivo. Vivo in un posto riservato dei miei pensieri.
Un angolo che aveva sfacciatamente occupato, senza curarsi di chiedere il permesso.

Mi ritrovavo a fissare il regalo di natale di Larry: un paio di pattini e una serata sul ghiaccio a Central Park, dispersi fra un entusiasta folla di persone intente a divertirsi.
New York e Natale era una combinazione esplosiva.
La città era accesa di ogni colore e il tutto si muoveva più velocemente del solito.

"Dai Paige datti una mossa"
Mi spronava ad entrare in pista, mentre io me ne restavo immobile, aggrappata all'asta per la paura di cadere.

"Ben. Ben dai corri insieme a me"
Urlava Larry al fratellino.

"Che ci fai qui Paige? Che ci fai con lui?"
Mi domandava il mio IO, ed io non sapevo rispondergli.

Perché mi ritrovavo ad aver accettato il suo invito?
Perché con lui rompevo i muri e riusciva convincermi?
Come al solito ero senza risposte e con mille punti interrogativi sparsi ovunque a confondermi la testa.

Eccoli lì. Loro due che roteavano sul ghiaccio, graffiandolo e disegnando arabeschi su quel lucido bianco.
Le luci natalizie montate intorno alla pista illuminavano il tutto, e un alto albero di natale piazzato nel centro, rubava l'atmosfera.
I finti pacchi regalo disposti ai suoi piedi, scintillavano con le carte regalo laminate e una grossa stella cometa brillava sul suo capo, quasi come se volesse toccare il cielo.

Gli occhi di Ben brillavano di gioia e di spensieratezza, poi guardavo quelli di Larry e inevitabilmente, ci leggevo la sua teoria sulla vita.
Lui prendeva in giro il dolore per non farsi tormentare, ma il suo sguardo era spento, cupo.
I suoi occhi sinceri, rispecchiavano le sue ombre del passato, le sue piaghe nel petto, i suoi pugni stretti, e tradivano il suo sorriso.
Spesso mi domandavo quante ne avesse passate lui, ma non glielo chiedevo, perché io non avrei voluto rispondere alle sue di domande.

Mentre io mi perdevo di nuovo in me stessa, vidi Larry avanzare deciso verso di me, lasciando libero Ben di pattinare da solo.
I suoi movimenti esperti sul ghiaccio, il suo portamento, la sciarpa grigia intorno al collo, il giubbotto in pelle che gli fasciava la vita stretta, i jeans aderenti e il ciuffo scuro scompigliato sulla fronte.
Era attraente il suo modo di porsi, questo lo dovetti ammettere a me stessa.
L'unica nota di disappunto nel suo stile, era la nuca, sempre leggermente rasata.
Dettaglio che mi ricordava molto chi non volevo.
Ma poi c'era quel suo sguardo, così denso da potermici perdere dentro.
Occhi intensi, pozzi profondi, che se io avessi potuto ascoltare, chissà quante cose mi avrebbero detto.

"Hey Paige non farti pregare. Forza. Buttati in pista!"

"No davvero. Preferisco stare qui a guardare"
Sbuffò divertito alla mia affermazione, per poi sollevarmi di peso, staccandomi dall'asta a cui mi ero timorosamente attaccata.

Mi stringeva le mani sulla vita per tenermi dritta.
Un attimo a fissarmi gli occhi, ad incastrare i suoi ai miei, ed ero più confusa e sperduta di prima.
Il suo contatto col mio.
Il suo respiro agitato per la corsa, che si scontrava intrecciandosi con il mio e d'improvviso si fece serio.
Il sorriso scomparve dal suo viso, lasciando spazio ad un luccichio, che in lui non avevo mai visto.
Sentii il mio cuore aumentare gradualmente i battiti e non ne comprendevo il motivo.
Non era la prima volta in quel mese, ma forse lo negavo a me stessa.
In me era comparsa una piccola luce.
Una speranza che prima non c'era. Un'esile e fioco bagliore che si alimentava della sua presenza, e stava pian piano prendendo il suo spazio intorno a quell'arido grigio, che mi colorava l'animo di scuro.

In un attimo i ricordi si rivoltarono contro il presente.
La paura contro la voglia di libertà.
Stephy che mi salutava sorridendo e i suoi lunghi capelli biondi sbattuti dal vento.
Era solo un'illusione la sua immagine.
Gli iridi scuri di Larry riflessi nei miei, e dentro altre immagini di quel Lui mi assalirono tempestose.

Mi scostai malamente dalla sua vicinanza e dalla sua presa salda sui miei fianchi.
Il tocco volontario era qualcosa che non riuscivo ancora a superare.
La mia mente si ribellava a chiunque avesse provato a sfiorarmi.

"Davvero Larry non voglio! Per favore lasciami stare! Preferisco restare lì a guardare"

Il mio tono era brusco, infastidito, scostante a quella situazione, forse ancora troppo intromissiva per me.
Per ogni passo che facevo avanti, ne seguivano altri cento in retromarcia.

"Perché fai così? Perché cambi umore all'improvviso?
Dovresti smetterla di chiuderti in te stessa!
Dovresti reagire ogni tanto! Dovresti imparare a vivere Paige!"
E mi scrollò un braccio.

"Smettila Larry. Tu non puoi capire!"
Quasi gridai divincolandomi da lui.

"Non posso perché tu non me lo permetti, ma un giorno scoprirò quello che ti frulla nella testa.
Un giorno saprò che pensieri si nascondono dietro i tuoi lunghi silenzi"

"Tu dici? E chi ti dice che te lo permetterò?"

"Lo dico io. Un giorno lo saprò"

"Un giorno o forse mai!"
Dissi andando via.
Un ultimo sguardo a Ben, che libero correva sulla pista.

"Paige ci vediamo domani?"
Urlò il bambino da lontano salutandomi con il gesto della mano.

"Noi ti aspettiamo qui"
Aggiunse Larry ricomparendo protettivo al fianco di Ben, come solo un fratello sa fare.

Non ci sarei andata.
Io non volevo più passare altro tempo con Larry.

"Davvero Paige? Perché menti a te stessa?"
Intervenne il mio IO mentre mi allontanavo quasi scappando, ma scappando da chi? Forse da me?

Save me (#Wattys2016)Where stories live. Discover now