Capitolo 18

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Avevo salito la rampa delle scale velocemente ed ero corsa in camera mia, per evitare le domande inquisitorie di mia madre.
Si, stava succedendo qualcosa.
Stavo uscendo con un ragazzo. Stavo riprendendo a sorridere, ma c'era ancora quel blocco che mi impediva di oltrepassare le barriere e di correre libera, lontano, dove non ero mai arrivata.
Ero ancora immobile in quel percorso, in un bivio, in bilico fra il scegliere se rimanere o partire alla volta di nuovi viaggi.
Su una fune, in equilibrio.
Ad un passo dalla fine e ad un centimetro da un nuovo ed inatteso prologo.
Ed io proprio come un funambolo, allargavo le braccia, libravo il peso per non cadere in quel vuoto così facile.
Così vicino e così lontano.
Così ammaliante e così disincantato.

Non volevo illudere mia madre. Anche se spesso non riusciva a capirmi, lei era sempre dietro una finestra a preoccuparsi per me.
Lo vedevo negli occhi il suo silenzioso dolore. Il suo sentirsi impotente a quella situazione.
Avrei parlato con lei solo quando mi sarei sentita più sicura di farlo, più sicura nel controllare le mie devastanti emozioni.

Avevo chiuso la porta della cameretta alle mie spalle, celando il suo richiamo con il boato che avevo generato sbattendola.
Mi ero lasciata cadere a terra, pesante di tutto quello che portavo nella testa.
Avevo sospirato profondamente l'aria fredda della stanza.
Ero sprofondata con lo sguardo nel cuscino e mentalmente mi ero abbandonata al sapore di Larry che portavo ancora sulle labbra.
Il suo bacio, la sua premura nei miei confronti, la sua pazienza, la sua dolcezza e tanti perché mi affollavano la mente.

Perché? Perché aveva scelto me fra tante? Perché io? La più complicata.
Era strano tutto quello? Dovevo stare in allerta a qualcosa di imminente?

Volevo convincermi che non esisteva un perché.
Era solo qualcosa di sincero e pulito. Qualcosa che lui faceva perché amava farlo.
Mi piaceva pensare che stesse amando veramente me, e ne avevo quasi la certezza.
Mi aveva dimostrato la sua voglia di me. Il suo desiderio di combaciare le nostre bocche e dirmi quello che forse, non necessita di giuste parole.
In quel memento, da sola, senza lui al mio fianco, mi sentivo tristemente vuota.
Nulla ed insignificante come ero sempre stata prima di incontrarlo per strada, in quel giorno frenetico. E frenetiche erano state anche tutte quelle emozioni, che mi avevano accompagnata in quel periodo travagliato.

"Tesoro non hai nulla da dirmi" aveva urlato mia madre colpendo piano le nocche contro il legno della bussola.

"No. Mamma" e a gambe incrociate sul pavimento liscio, avevo chiuso gli occhi per ritornare dov'ero stata poco prima.
Al solo pensiero di quello che era appena successo, lo stomaco si aggrovigliava irrimediabilmente.
Un nodo che dalla gola, scendeva e mi contraeva i muscoli.
In mezzo alla neve, dispersa fra la folla, accecata dalle mille luci natalizie, avvolta dalle sue forti braccia.
I suoi occhi che piano si chiudevano vicini ai miei, il suo viso vicino al mio, il suo fiato spezzato e i miei battiti a mille all'ora.
La sua bocca sulla mia.
La leggerezza di quel bacio, ma il particolare più importante erano le sue dita, che tremavano sulla mia guancia.

Un uomo che trema per una donna.
Un uomo che ti vuole dolcemente.
Un uomo che dimostra affetto senza chiedere nulla in cambio.
Un uomo che dà senza ricevere.
Un uomo che ti abbraccia prima col cuore e soltanto dopo con le braccia.

Io non la conoscevo quella sensazione.
Lo stavo scoprendo solo allora, quel senso indescrivibile che si prova e ti fa sentire più grande della tua altezza.
Più importante anche se fondamentalmente non lo ero.
Essere responsabile di una sensazione così forte, da non saperla contenere e da ripercuoterla in una vibrazione sul corpo, mi appagava come mai nulla aveva fatto.
Quello era sentirsi donna.
Questo già bastava per esserlo.

Io avevo conosciuto un solo tipo di tremolio, il mio.
Un tremolio impaurito e disgustato però.
Un tremolio che fa piacere solo all'altra meschina metà.

Save me (#Wattys2016)Where stories live. Discover now