Capitolo 21

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I fuochi d'artificio non avrebbero tardato ad accendere il cielo di New York.
Il capodanno era alle porte. Imminente e misterioso stava per inaugurarsi dietro lo scoppio del  tappo di sughero di uno spumante.
Pochi minuti allo schioccare della mezzanotte e nessuno avrebbe potuto impedire l'arrivo di un nuovo anno da iniziare.
Un nuovo percorso, un nuovo irrimediabile inizio.
Altri giorni da inventare e il mio sguardo cominciava a mutare nell'immaginarli .
In qualche posto nel mondo c'era chi lanciava dalla finestra i vecchi oggetti in segno di buon auspicio.
Io avevo buttato fuori solo un maledetto ricordo, nella speranza di vederlo sparire insieme ai cocci che mi aveva lasciato nel petto. Quei pezzi di cuore da curare, che io avrei preferito sostituire.
Trascorrere la notte di San Silvestro a New York era sicuramente il sogno di tanta gente, ma per me era indifferente.
Avevo sempre preferito la tranquillità alla mondanità, ma quell'anno il flebile pizzico di magia aveva smosso anche le mie corde.

Larry mi aveva proposto di riunirci in piazza per vedere la palla gigante cadere dall'edificio One Times Squares a mezzanotte spaccata, ma non era una buona idea.
Avremmo dovuto avviarci molte ore prima per prendere un buon posto. Avremmo dovuto attendere in piedi al freddo, fra le urla e le spinte per la follia di dieci irrefrenabili secondi a partire dal countdown, che dava inizio ai festeggiamenti.
Avremmo atteso frementi per l'insensato brivido di quella gigantesca sfera, che in realtà, non mi entusiasmava più di tanto.
L'adrenalina che dava lanciandosi nel vuoto non era il massimo per me.
Si, sarebbe stato di sicuro qualcosa di unico, ma la magia del momento per me era un qualcos'altro di più profondo.
Avevo preferito un attimo solo mio, senza troppa frenesia, ma senza perderci i colori e i fuochi di quella notte diversa dalle altre.
Volevo ammirare la frizzante gioia di Central Park dalla vetrata di uno dei grattacieli che circondava la pista.
Quello che avevo sempre sognato da bambina.
Godere la vita da un palazzo di cristallo.
Solo un attimo. Solo poche ore.
Nascondermi agli occhi del mondo nel momento in cui avrei potuto catturare i dettagli più intensi. Imprimere in uno scatto come una fotografia i salti a mezz'aria fra la schiuma che fuoriusciva dai colli delle bottiglie.
Partecipare al copione senza fingere una violenta allegria che io non avevo.
Respirare e ammirare dall'alto un pezzo di mondo che si muoveva senza sosta fra sfilate e brindisi.
Caotica felicità e mille botti a disegnare arabeschi nel cielo, fino a celare e confondere le stelle.
Fino ai rumori che ti sbattono sul cranio e si fondono alle grida.

C'eravamo intrufolati all'interno del grattacielo non appena la porta scorrevole si era aperta, lasciando passare una signora, che su tacchi vertiginosi raggiungeva una limosine nera parcheggiata proprio lì davanti.
La moquette bordeaux smorzava il suono dei passi che in fretta sfuggivano ad altri sguardi.
Larry aveva cliccato sul pulsante rosso e le porte automatiche dell'ascensore si erano aperte di scatto.
Cauti e tesi eravamo entrati e avevamo
raggiunto il trentesimo piano: l'ultimo.
Il silenzio ci accompagnava fedeli e le parole che Larry aveva usato il giorno prima, rimanevano sospese fra me e lui ed incerte nella mia testa si scuotevano. Sollevate in una polvere di disappunto mista ad aria di delusione.
Su una corda sottile si collegavano mettendoci in contatto.
Impercettibili ai sensi ma vive nella mente. Vive nella sua voce quando con un tono di disperazione mi aveva chiesto di non parlare.
E lì, nella testa, su quel filo invisibile di discorsi non detti, noi ci incontravano senza farci sentire e senza accorgercene neppure. Empatia o chimica, come la si vuol chiamare, quel silenzio, quel suono vuoto ma incredibilmente pieno, aveva lo stesso identico nome, lo stesso pensiero.
Lo spazio si restringeva e la voglia di capirlo mi faceva scoppiare la testa, perché per quanto mi sforzassi io non ci riuscivo.

"Shhh... Basta adesso. Non lo dire. Ho capito. Non c'è bisogno di dirlo" mi aveva detto.
Su quel letto, le sue dita sulle mie labbra ad evitare che parole troppo sporche macchiassero il sapore della mia saliva.
Era stato a quel punto che avevo capito il perché dei miei dubbi e delle sue azioni.
Tutto sembrava aver trovato la piega giusta.
Tutto sembrava aver preso un senso. Uno sgradito senso.
Era solo compassione la sua.
Era solo l'ennesima persona che provava pena nel mio stato.
Mi era stato accanto solo per pietà.

Save me (#Wattys2016)Opowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz