Capitolo 23

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"Paige dove sei stata fino alle tre del mattino fuori casa? È pericoloso stare per strada la notte di San Silvestro!Ti ho chiamata mille volte e non mi hai risposto!"
Fu la prima cosa che mamma aveva urlato appena ero uscita dalla doccia indossando una tuta da ginnastica piuttosto aderente.

"Non ero per strada e poi c'era Larry con me" le avevo risposto scocciata.

"Inoltre ho l'età giusta per essere abbastanza responsabile delle mie azioni" avevo aggiunto aprendo la porta per uscire.

"E adesso dove vai?"

"A correre con Larry"

"Cosa? A correre tu? Oggi? Tu non hai mai amato correre e fare sport!"

"Si ma nella vita si cambia!" e avevo chiuso di fretta la porta.

"Hey Paige! C'è qualcosa di serio che devo sapere?"
Ecco la sua ansia. La sua curiosità. La sua premura. Il suo essere eccessivamente apprensiva che le scivolava via di dosso per raggiungermi.
Da piccola pensavo che facesse così solo perché ero figlia unica, poi ho scoperto che era parte naturale della sua indole.

"Si. Credo che Larry mi piaccia molto. Credo di amarlo. Questa è l'unica novità che devi sapere"
Avevo detto tutto d'un fiato rientrando sull'uscio di casa, prendendola alla sprovvista, come se quello fosse il riscatto atteso da un'eternità. Come se fosse la rivincita di una partita persa tempo fa.
Come se avessi perso una battaglia ma sentivo di star per vincere la guerra. Sentivo di star disputando una sfida fra me stessa.
Volevo che per una volta le emozioni prendessero a pugni quei limiti e volevo sentirmi viva.
Volevo amare ed essere amata come non avevo mai fatto.
Volevo infrangere una promessa giurata a me stessa con la mano sul cuore: quella di non permettere a nessun uomo di toccarmi neppure con un dito. Quella di non far sfiorare neanche un solo millimetro della mia pelle, ma Larry inaspettatamente lo aveva fatto. Aveva toccato la mia pelle e si era preso anche molto altro di quello che può esserci dietro i lineamenti di una persona.
Si era impadronito dei miei sogni, dei miei perché, dei miei dubbi, delle mie incertezze, dei miei sguardi più sinceri, del mio essere fragile, della mia rabbia, dei miei battiti che saltavano e si sperdevano nel corpo soltanto per lui.
Dei miei baci. Delle mie paure. Del mio amore. Delle mie insicurezze. Delle mie parole più remote.
Del gusto dolce e pungente.
Aveva assorbito le mie lacrime con le sue dita.
Aveva riscaldato le mie mani piccole e fredde fra le sue più grandi e calde.
Aveva rotto le mie barriere in quel momento, sul mio letto disfatto, smuovendo in me l'inferno e il paradiso.
Lui si era preso il bene il male.
Lui mi aveva fatto ridere e piangere.
Lui aveva spento i miei sorrisi per regalarmi il sapore della sua bocca.
Mi aveva lasciato l'amaro del silenzio per poi darmi il gusto dolce di un abbraccio.
Lui mi aveva insegnato a prendere in giro il dolore, senza però svelarmi il modo in cui aveva scoperto a farlo.
Mi aveva insegnato a fidarmi anche laddove vuoti mi solcavano, ma lui era pronto a riempirli con altri sentimenti.

Avevo sceso le scale di corsa mentre immaginavo mia madre a bocca aperta che si sedeva da qualche parte per non cadere inerme al tappeto, per quella gioia troppo grande che le avevo dato.
Quante volte al rientro da lavoro l'avevo sentita parlare disperata con mio padre.
Lui seduto al tavolo l'ascoltava senza rispondere per poi mettersi alla ricerca di un buon supporto per me.

"Non tornerà mai più come prima. Si è chiusa in se stessa. È fredda! È apatica!" quasi urlava e lo ero, ma poi eccomi lì, a scendere leggera in strada per riprendere quella corsa rimasta a lungo in sospeso.
A sperdermi fra la gente come nulla avesse mai bruciato un attimo della mia vita.
A giocare quella partita rinviata sul calcio di un rigore.
Ad esultare in tribuna o in platea per una vittoria imminente e mai sperata.
A valicare montagne apparentemente insormontabili.
A sospirare dopo la lunga interminabile attesa.
A togliere il tasto pausa dalla playlist preferita e ricominciare a cantare a squarciagola nella consapevolezza di poter rompere i vetri intorno.
A nuotare in quel mare pericoloso ma troppo bello per non volerlo scoprire.
A rimettere in moto quella macchina troppo complessa ed intricata che si chiama vita.
Ad inseguire quel ciclo senza sosta che si chiama destino.
A unire quei punti già tracciati da qualcuno per riempire il disegno.
Ad accorciare le distanze di quella pazza follia che si chiama voglia di lui.
A graffiare un nuovo nome sulle pareti di un corpo normalmente instabile.
A togliere adito alla ragione per lasciar uscire quei sentimenti che non sanno parlare con la voce, ma solo con le mani intrecciate alle lenzuola.

Save me (#Wattys2016)Where stories live. Discover now