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Conoscevo a memoria ogni canzone di Bruce Springsteen, era l'unico disco che riuscivo ad ascoltare mentre guidavo.

Erano anni ormai che avevo preso la patente e ricordavo ancora con lucidità l'emozione della prima guida, l'ebbrezza di stringere il volante fra le mani e la libertà di decidere dove poter andare.

Sognavo di comprare uno di quei furgoni Hippie e di girare tutta l'Europa con le mie migliori amiche...

"Un giorno lo faremo" così mi disse Amy quando cinque anni prima mi accompagnò a scegliere la mia nuova auto.

Cinque anni dopo eravamo ancora lì, in quella città, lei felicemente fidanzata e senza problemi, io che da settimane combattevo con un dolore che mi bruciava l'anima, che lentamente mi consumava, nonostante fossi la prima a nasconderlo a me stessa.

Viaggiavo da ore ormai, senza meta, ripensando a quel messaggio, a quella risposta mai arrivata.

Fermai di colpo la vettura, guardai a destra e pensai "Devo entrare lì dentro", così scesi, attraversai la strada ed entrai nel palazzo, quel palazzo proprio a ridosso della strada.

Un edificio molto vecchio, mura possenti e grosse scalinate in marmo bianco. La luce era soffusa, c'erano solo due grandi finestre che guardavano nel giardino sul retro, era pieno di alberi secolari che coprivano la luce del sole, oscurando l'ambiente.

Arrivai esausta al sesto piano, l'ascensore era fuori uso e le mie gambe non erano più quelle di una volta. A diciassette anni facevo le gare di staffetta ad ostacoli ed ero anche piuttosto brava per la mia età, poi un incidente alla gamba destra mi impedì di continuare. Ricordo di aver pianto per giorni dopo aver lasciato la competizione e la squadra...

Le cause mi furono sempre sconosciute, mia madre diceva continuamente che quello sport non faceva per me, ma la mia passione superava i consigli di quella donna, che più che consigli erano imposizioni.

Un giorno, durante la settima gara della stagione, uno degli ostacoli mi fece cadere a terra e il mio ginocchio mi abbandonò, insieme al sogno di vincere le nazionali. L'ostacolo per qualche strana ragione era più alto rispetto agli altri di dodici centimetri ed inevitabilmente fu quello che interruppe ogni cosa...

Ricordo di essermi fermata davanti all'ultimo portone in cima alle scale. Era l'unico con le inferiate color oro e il campanello era posto a destra, compreso di telecamera.

Suonai nell'appartamento diciotto, di Kenya Madison, psicologa e psicoterapeuta.

"È molto brava, Maya e sa di certo come fare il suo lavoro meglio di chiunque altro" mi diceva spesso mia madre, insistendo perché andassi da lei almeno una volta, sembrava anche parecchio insistente alle volte.

Così, eccomi lì.

Non sapevo sinceramente cosa le avrei detto, soprattutto riguardo a quel fottuto sabato notte, sapevo di certo che mi sarei sfogata in qualche modo con una bella chiacchierata fra donne.

"Male non mi farà" pensai quell'attimo, prima che una splendida donna dai capelli nero corvino aprì la porta e mi salutò con un sorriso...

Entrai velocemente e richiusi la porta alle mie spalle.

Prigioniera di una Bugia || #Wattys2016Where stories live. Discover now