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Ero sempre stata contraria a tutte quelle persone, che abitualmente sprecavano i loro soldi da costosissimi psicologi, eppure in quel momento ero lì, davanti ad uno di loro.

Laureata a pieni voti ovviamente, una seconda laurea in lingue, così leggevo distrattamente in un piccolo quadretto posto dietro di lei, mentre aspettavo che finisse di annotare alcune cose nel suo taccuino bianco.

Mi sembrava una donna molto sicura di sé, capelli ben curati, sopracciglia perfettamente allineate e sguardo penetrante. Probabilmente era una di quelle donne con le palle, che difficilmente piange o si lamenta. La guardai a lungo ad intermittenza con la stanza. Notavo tanti piccolissimi dettagli.

C'erano molti quadri, due divani in pelle chiara oltre a quello dove ero comodamente seduta, alcune lampade di tela azzurra e diverse candele sparse un'po' ovunque.

Persino la tenda della grande finestra alla mia sinistra era in tinta con tutto il resto. Lei invece portava un foulard color crema che si sposava alla perfezione con ogni singolo oggetto di quella stanza. Ero terrorizzata da quella maniacale precisione, ma ne ammiravo il gusto e l'impeccabile ordine.

I miei occhi erano altrove, quando la penna fece per sbattere all'improvviso sul tavolino in vetro, vicino ai suoi piedi. Era pronta ad ascoltarmi.

Abbassò gli occhi e mi guardò le mani. In quel preciso momento ricordo di aver iniziato a muoverle nervosamente.

- Sei nervosa? - mi chiese come per infierire sul mio stato già abbastanza compromesso.

- No, non particolarmente. - Risposi io. Mentendo a me stessa e a lei, che sembrava potesse leggere tutto quello a cui stavo pensando.

- Allora, cosa ti ha spinto a venire da me? – chiese lei, come probabilmente faceva con ogni paziente che le capiva davanti.

Non sapevo cosa rispondere. Potevo dirle qualsiasi motivo, anche inventato, ma non avrei saputo come continuare, così le dissi semplicemente che ero lì per sfogarmi un'po' e per parlare di me e della mia vita.

- Bene, allora inizia pure. Vedrai che qualcosa di buono lo tiriamo fuori -. Mi rispose lei con un sorriso splendente, quasi come se sapesse che da quelle conversazioni avrebbe tirato fuori qualcosa di importante. Dopo tutto era il suo lavoro e spesso mi domandavo se gli stessi problemi che curano alle persone riescono a toglierli anche a sé stessi con la stessa facilità.

- Cosa vuole sapere? - le chiesi un pochino turbata.

- Beh, parlami di te, della tua famiglia, come passi le tue giornate... Volevi sfogarti un'po', no? –

Le raccontai quello che voleva sapere, della mia infanzia, del rapporto decisamente strano che avevo con mia madre e di altre piccole cazzate di cui non le importava nulla. Mi sembrava che la sua espressione oltre che la sua concentrazione vagassero altrove in quei minuti.

- Tua madre, mi hai detto che il vostro rapporto è strano, puoi spiegarti meglio? - mi disse, mentre riprendeva la sua penna dal tavolino e la appoggiava delicatamente sul taccuino.

- Beh, ecco... Mia madre è una donna molto severa, lo è con mio padre e ancor di più con me. Non ci somigliamo, ho gli occhi e l'espressione di mio padre, tutto il resto di me sembra di qualcun'altro ... - Le dissi scherzosamente.

- L'ho conosciuta tua madre... Ci siamo viste qui diverse volte sai? -

- Ecco perché mi parlava spesso di lei... E per quale ragione mia madre veniva qui? - Chiesi con tono interrogatorio.

- Segreto professionale...Ricordi? -

Mi guardava con aria di sfida, non la sopportavo! Mancavano venti minuti alla fine della seduta, avevo pagato dopotutto e di certo non me ne sarei andata prima dello scadere del tempo.

- Torniamo a noi ... Continua pure. - Accavallò le gambe cambiando posizione, ma continuando a guardarmi fissa negli occhi.

- Beh, come le dicevo, io e mia madre siamo un po' come due nemiche, anche se a dire la verità dopo quello che è successo lei sembra ancora più distaccata e non riesco .... - Mi fermai di colpo.

- Che cosa è successo? - Chiese Kenya.

Eccola lì, come un avvoltoio, pronta a scovare anche il più piccolo e stupido dettaglio della conversazione. A quel punto non sapevo proprio come uscirne, non sapevo che scusa trovare, così mi lasciai andare e le dissi di quel sabato notte ... Ero tranquilla, lei non poteva rivelare nulla, anche se nella maggior parte dei telefilm gli Psicologi sono stronzi e dicono tutto ai familiari dei propri pazienti, ma parliamo di attori, lei mi sembrava una donna molto professionale.

Le raccontai più o meno tutto nel giro di dieci minuti. L'inizio di quella serata, la discoteca con le amiche, la mia decisione di tornare a casa a piedi e di prendere la strada buia dal boschetto nella più completa desolazione, le dissi anche di quello che mi successe dopo, stavo raccontando tutto in modo confuso, perché a dire la verità nemmeno io ero certa di quel che fosse accaduto.

Lei mi ascoltava ed io parlavo. Quella stanza così maledettamente perfetta, mi sembrava in quel momento l'inferno, io parlavo e tutt'intorno il silenzio, mi pareva che ogni oggetto lì dentro mi stesse ascoltando... Tutti pronti a sapere che cosa mi fosse capitato.

Le dissi di aver subito violenza e lei mi chiese da chi...

Le dissi che non lo sapevo e lei mi chiese se avevo detto qualcosa a mia madre... Perché nominò lei, solo lei? ...non capivo. Continuai a risponderle, poi dopo qualche minuto richiuse il taccuino, si alzò di scatto, prese un bigliettino dalla scrivania in fondo alla stanza e me lo poggiò sul divano, sopra le mie ginocchia.

- Il nostro tempo è finito, Maya. - Mi disse, invitandomi a prendere un altro appuntamento presso la sua segretaria prima di uscire.

- Non so se tornerò...- le dissi io, contenta di uscire da quel posto prima possibile.

- Tornerà. – rispose lei, mentre con un sorriso mi salutava.

E così fu' ... In quelle due settimane ero stata da lei almeno quattro volte. Ormai sapeva ogni cosa di me, anche se si ostinava a chiedere sempre di mia madre o cosa pensasse lei di quello che facevo o dicevo... Come se fosse lei la paziente da ascoltare e non più io. Non feci caso a quelle domande, mi concentrai su di me e basta.

Fu quello il mio grosso problema, non avevo idea chi fosse davvero quella psicologa e come mai conoscesse così bene mia madre.

Prigioniera di una Bugia || #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora