14 - Voler perdersi, scoprire di trovarsi

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Tornarono all'ingresso, si rivestirono e uscirono dalla casa ridendo. Per loro era sempre una liberazione muoversi, colpire, pensare. Nessuno di loro si era mai chiesto se tutto ciò era normale

Lea aveva in mano scartoffie e elementi ipertecnologici ed era così tanto materiale che quasi le cadeva dalle mani. Thomas corse in suo aiuto prendendola in giro.

"Ohhh... la leggenda che soccombe sotto dei fogli di carta!" rise ma le alleggerì il peso prendendo qualche foglio, poi si fece serio. "Secondo te cosa significava? La cura mortale... ho i brividi."

"A me preoccupa il suo mittente. Mi conosce e conosce l'Agenzia."

"Tutti ti conoscono e tutti conoscono l'Agenzia. Tutti."

"No, Tommy. Tutti sanno cosa è l'Agenzia e tutti sanno chi sono io. Il suo mittente conosce l'Agenzia da dentro, sapeva che avrebbero potuto mandare solo me per una cosa del genere. Nessuno si nasconde poi nel ventunesimo, troppo pericoloso e meno che naturalmente non si conosca perfettamente. Ed è anche qualcuno che si aspettava che lavorassi da sola..."

"Lea." la interruppe Thomas e la guardò in modo significativo.

"No. C'è un'altra motivazione." il sorriso si era spento dalla faccia di Lea e le mani le tremavano leggermente.

"Lea." la voce di Thomas aveva una sfumatura di rimprovero. Doveva guardare in faccia la realtà e accettare che tutto quello che era successo li portava a una sola persona. Il nome non si poteva dire ad alta voce, lo avrebbe fatto diventare reale e nè Thomas, nè Lea volevano che lo fosse. Lea perché non lo avrebbe sopportato e Thomas perché non avrebbe sopportato Lea in quello stato.

La ragazza tremò di nuovo. Lui era il suo tallone d'Achille, il suo più grande errore, il suo difetto fatale. Salirono in casa e Lea buttò sul tavolo tutto ciò che aveva in mano.

"Vado in camera mia, non disturbarmi." disse a Thomas lasciandolo sconcertato in cucina davanti al caos di fogli e tecnologie. Sospirò e si mise al lavoro. Prima di tutto divise i file dai fogli di carta e si mise ad analizzare questi ultimi. Erano principalmente mappe della città più o meno accurate e c'erano segnati percorsi ogni volta diversi. C'era anche un libricino con gli orari dei pullman e qualche scontrino. Nulla di più, ma gli sarebbe servito l'aiuto di Lea per riuscire a collegare il tutto. La maggior parte dei documenti non potevano essere stati scritti da Gaabriel, alcuni calcoli erano troppo complessi, così decise di aspettarla. Mentre si preparava un caffè, una bevanda che aveva scoperto da poco e che gli piaceva particolarmente, sentì il primo rumore di vetri infranti e cercò di ignorarlo. Prese in mano un libro di quell'epoca, "l'enigma del solitario" di Gaarder e al primo capitolo sentì il secondo rumore di vetri infranti.
Ignorò la questione per la seconda volta e continuò a concentrarsi sul libro che si stava facendo sempre più interessante ma alla quinta volta mise giù il libro e si incamminò verso la stanza.

"Tutto bene?" Thomas entrò nella stanza. Lea stava accasciata ai piedi del letto, intorno a lei fogli di carta pieni di calcoli e frecce che portavano a un solo nome; davanti a lei vetri rotti. Il ragazzo camminò verso l'armadio e vide altre tre bottiglie simili a quelle frantumate. Vodka.

"E'una condanna." rispose Lea come se non avesse sentito la domanda di Thomas. "Non ci possiamo ubriacare, non possiamo perdere il controllo, siamo costretti a pensare sempre. E' una condanna, una condanna." la sua voce era rotta dal pianto, il suo viso distrutto, il trucco colato che lasciava scie nere lungo le guance. Era spezzata dentro, ridotta in frantumi. Thomas si chinò e iniziò a pulire la stanza. Prendeva tutto e lo buttava nel corridoio, spazzava via con i piedi i vetri rotti, il silenzio rotto solo dai leggeri singhiozzi di lei; alla fine si mise seduto accanto a lei e le prese la mano.

Fu quel gesto a far scattare qualcosa dentro di Lea. Pensò a Thomas la prima volta che l'aveva visto, poi in discoteca e pensò che quello che stava per fare era estremamente egoistico, ma ne aveva bisogno. Si rigirò e bloccò Thomas contro le sponde del letto.

"Scusami." sussurrò, poi lo baciò.

All'inizio fu solo il bisogno di non pensare, fu solo quel mero atto egoistico per il quale aveva chiesto scusa. Thomas semplicemente non pensò alle ragioni che l'avevano spinta a baciarlo, ma la tirò verso di sé circondandole la schiena con le mani, come se avesse bisogno di sentirla sempre più vicina. Lea sussultò leggermente a quel gesto così possessivo ma allo stesso tempo delicato. Era iniziata per perdersi ma mai avrebbe immaginato di trovarsi a casa tra quelle braccia, come se stesse finalmente facendo qualcosa di giusto. Gli morse leggermente il labbro inferiore e gli passò le mani dietro il collo. Aveva baciato ragazzi un po' dappertutto quando ne aveva avuto voglia, anche ragazzi innamorati di lei ma nessuno era mai stato come quella volta. Era come se tutto il suo corpo e la sua mente rispondessero al tocco di Thomas e quello che era iniziato come un bacio disperato si stava trasformando in qualcosa di radicalmente diverso. Era qualcosa di cui sentiva il bisogno, e lo sentiva così tanto che arrivò a chiedersi come aveva fatto a sopravvivere fino a quel momento senza quelle labbra. Appena la sua mente formulò questo pensiero si spaventò e si staccò dal bacio.
"Tommy..." il suo era poco più di un sussurro. Voleva dirgli che non capiva perché significasse tanto, che gli dispiaceva, che per lei era una cosa così forte nonostante si conoscessero da pochissimo giorni, che gli Agenti erano abituati ad analizzare subito le loro sensazioni quindi era ovvio che ci era voluto così poco tempo, che naturalmente capiva se lui fosse stato ancora confuso ma che lei avrebbe aspettato.
Thomas la guardò e se Lea fosse stata capace di capire i sentimenti delle persone e non solo la chimica, avrebbe visto che era distrutto. Ma non lo fece e quando lui le parlò non capì cosa c'era dietro quelle parole.
"Lo so perché l'hai fatto. Non ti biasimo per questo ma non sono lui. Non lo sarò mai." Thomas lo disse più a se stesso che a lei. Pensava che Lea stesse giocando con i suoi sentimenti perché non li conosceva. Per lui quel gesto era stato di una ragazza disperata che aveva bisogno di affetto, nulla di più. Non sapeva quello che aveva provato Lea, sapeva solamente che quella ragazza lo faceva uscire fuori di testa e lo distruggeva.
Si alzò e uscì dalla stanza, lasciandole prima un leggero bacio sulla guancia.
Lea rimase lì pensando che lui la odiasse. Solo una lacrima amara le rigò il viso e fu la lacrima più dolorosa di tutte quelle versate fino a quel momento. Guardò la porta e sentì l'impulso di andare da Thomas, di dirgli tutto, di baciarlo e di provare a essere felici ma rimase lì accasciata contro la sponda del letto a fissare il vuoto.



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