30 - Reazioni collaterali al dolore

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Thomas si alzò dal letto e si trascinò svogliatamente in cucina. Aprì la credenza e ci trovò un pacco di biscotti aperto. Lui non mangiava mai biscotti, erano quelli di Neumalea. Prese il pacco e lo buttò nel cestino con rabbia e dolore. Erano passati tre giorni da quando lei... il dolore faceva ormai parte di lui. Il vuoto faceva parte di lui. Quel momento, quell'istante lo aveva colpito così nel profondo che era cambiato radicalmente.

Prese una maglietta qualunque, una delle t - shirt da uomo che aveva trovato in camera di lei e si mise davanti allo specchio per pettinarsi. Il ragazzo che lo stava guardando non era lui. La cicatrice ormai non gli faceva più impressione ma le occhiaie, i capelli disordinati e le labbra piene di piccole ferite per quanto se le era morse con forza, gli rimandavano un'immagine che non si sarebbe mai aspettato di vedere. Era distrutto. Lasciò i capelli spettinati, uscì di casa e si accese una sigaretta. Fumare gli ricordava lei. Avrebbe potuto prendere la macchina, in fondo doveva arrivare in un altro quartiere di Perugia e quella città era tutta in salita, eppure si avviò correndo. Non era saggio correre in pieno giorno per tutto quel tempo, soprattutto a quella velocità. Molti si girarono confusi verso quella scheggia che di umano non aveva nulla. Passò la rotonda, i semafori, lo stadio, salì a destra dopo il minimetrò* e poi salì, scese, sinistra, ancora a sinistra. Aveva fatto una strada lunghissima per arrivare ma aveva bisogno di sfogarsi. Via martiri dei lager. Quando entrò nel negozio, l'uomo non si scompose. Infondo non era strano vedere un ragazzo piuttosto spaventoso nel laboratorio di un tatuatore. Thomas si avvicinò e tirò fuori il pugnale di acciaio bombardato, ancora sporco di sangue. L'uomo non si scompose più di tanto ma forse era un po' intimorito ora.

"Voglio questo pugnale tatuato sulla schiena." furono le sue uniche parole.

"Anche con l'effetto sangue finto?" chiese il tatuatore.

"Questo è sangue vero. Lo voglio in bianco e nero, solo il sangue colorato. Lungo la linea della spina dorsale la lama, l'elsa a livello delle scapole. Dovrebbe arrivare fino al collo."

L'uomo indietreggiò leggermente quando Thomas parlò del sangue vero.

"E' un tatuaggio bello grosso."

Thomas alzò un sopracciglio come a voler chiedere di non affermare ovvietà.

Ci aveva pensato quei tre giorni. Quel pugnale era quello che collegava tutto. Era stato l'inizio e la fine. La morte della ragazza e la nascita della dea quando, a dieci anni, era stata costretta a uccidere un innocente; e tre giorni prima, la caduta di quella stessa dea che tutti dicevano invincibile. Quello stesso pugnale intriso del sangue del ragazzo che aveva ucciso Lea. La vendetta però non l'aveva riportata indietro. Nulla avrebbe potuto. Lei si era fermata, come cristallizzata nel tempo e sarebbe stata ricordata come una leggenda mentre ora stava a lui andare avanti senza di lei. Senza la donna che aveva imparato ad amare.

"Farà male, è sui punti più sensibili." disse l'uomo alzando le spalle e facendo accomodare Thomas.

"Tu non sai cosa è il dolore." rispose il ragazzo, lasciando il tatuatore piuttosto confuso.

Uscì da quel laboratorio dopo aver pagato velocemente l'uomo e corse fino in centro. Corse di nuovo, tutto in salita, dritto sinistra, destra, in alto, salita, sinistra. Lì avrebbe fatto un'altra pazzia. Non era rimasto niente del ragazzino fissato con la simmetria, ora l'unico modo che riusciva a trovare per sfogare la sua rabbia erano quella sfilza di orecchini neri che ricoprivano tutto il suo orecchio sinistro. Era un modo per ricordarla, per sentirla un po' più vicina a lui, come se avere quell'aspetto significasse portarsela un po' dentro.

"Agente Thomas chiede trasferimento all'Agenzia." sussurrò all'auricolare.

"Siamo felici di risentirla, Agente, trasferimento tra tre, due, uno..."

Si ritrovò in un corridioio anonimo dell'Agenzia. Gli addetti ai trasferimenti avrebbero dovuto smetterla di divertirsi a farli apparire dappertutto all'interno di quell'edificio. Thomas percorse a testa bassa i corridoi, cercando di non farsi riconoscere.

"Tom?" una voce troppo familiare lo stava chiamando. Alzò lo sguardo.

"Ciao, Lucas."

"Per tutto il cronospazio Thomas! Che cosa ti è successo?"

Il ragazzo non rispose e continuò a camminare, ma Lucas non desistette e lo seguì, continuando a fare domande inopportune sul suo aspetto.

"Agente Thomas chiede colloqui con Headstrich." disse al microfono.

"Headstrich è in riunione." rispose una voce metallica.

Thomas fece una cosa ce Lucas non si sarebbe mai aspettato. Sbattè il pugno sul muro fino a far tremare le pareti e disse calmo al microfono.

"Headstrich alza il suo regale culo e si presenta ora davanti a me a discutere della morte dell'Agente Neumalea o io entro e scateno il putiferio. E sa perfettamente che ne sono in grado, per questo mi avete - avevate - affidato a lei, perché non scoprissi quello che so fare."

"La morte... della leggenda?" sussurrò Lucas. "E' morta Neumalea?"

Lo disse con una voce così sorpresa che a Thomas non potè fare altro che guardare il muro. Quando si girò stava piangendo. Lucas lo guardò ancora più sopreso.

"Non dirmi di non piangere, perché lei era la mia ragazza."

Heastrich uscì dalla sala delle riunioni e ricevette Thomas nel suo ufficio.

"La sua mancanza totale di educazione, mi costringe a darle una nota di biasimo per..."

"Stai zitta." la interruppe lui. "parliamo del funerale."

"Sa perfettamente che noi facciamo funerali solo agli eroi, Agente."
Era una questione tecnica. All'Agenzia tutti erano eroi, di conseguenza non lo era nessuno. Alcuni cadevano in battaglia o durante le missioni, era normale amministrazione. I corpi venivano rispediti ai familiari e il nome cancellato dall'elenco degli Agenti. Le uniche volte che si tributava qualcosa ai morti era quando morivano per salvare il mondo intero. Solo una volta era successo, Lea sarebbe dovuta essere la seconda.

"Infatti Lea era un'eroina. Ha salvato il mondo."

"No. La salvezza del mondo è stata un effetto collaterale. Neumalea ha salvato solo lei, Agente."

"Discutiamo della realtà, non di quello che stava dentro la testa di Lea."

"Agente Thomas." la voce di Headstrich era dura "io capisco la perdita del partner di missione, ma deve mantenere la calma e attenersi a quello che io le dirò."

Non avrebbe potuto dire parole più sbagliate. Erano passati solo tre giorni, ma in quelle ore Thmas aveva capito perch Neumalea diceva che lui era pericoloso.

Creò un muro di aria intorno a loro modificando le particelle come tutti gli Agenti sanno fare, poi cercò di collegarsi ai neuroni di Headstrich. Non sapeva come faceva a riuscirci o quale legge chimico-fisica regolasse questa sua spaventosa capacità, eppure gli bastarono dieci secondi. Il viso del direttore si storse in una smorfia.
"Un essere non può provare così tanto dolore. Muore." disse mentre due lacrime le solcavano la guancia. Era il dolore per il tatuaggio e per i piercing, che Thomas non sentiva ma Headstrich si, essendo solo una sapiens; era il dolore per la cicatrice che bruciava incessantemente anche al ragazzo come se quell'infezione non potesse mai guarire del tutto; era il dolore per Lea. Lancinante, straziante, era un buco nero che risucchiata tutto intorno a se.
"Io sono morto" rispose Thomas. "Sono morto con lei."
Quanta verità c'era dietro quelle parole. Thomas, il ragazzo che Lea aveva conosciuto, non c'era più. È vero quando dicono che il dolore ti cambia da dentro. È tutto vero. Ti cambia perché ti corrode lentamente, inesorabilmente. Lasciò andare il contatto con Headstrich che si accasciò per terra e abbassò la protezione di aria. Subito tutti gli Agenti che si erano accalcati intorno corsero a soccorrerla. Thomas li guardò freddo.
"Headstrich vorrebbe dare una notizia. L'Agente Neumalea è caduta in battaglia da eroina. Ci sarà il funerale a data da destinarsi."
Detto questo aprì la porta e se ne andò davanti agli occhi confusi di Lek e terrorizzati di tutti gli altri Agenti.

*per chi non abita a Perugia: il minimetrò è una metro sopraelevata che collega i punti principali della città attraverso piccole cabine che passano ogni due minuti costantemente.

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