Capitolo 10

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«Sul serio?» mi disse Michele, dopo che gli ebbi raccontato tutto. 

Io stavo fissando Honey che quella mattina, se possibile, era ancora più bella. 

Le avevo fatto una rapida doccia e, dopo averla lasciata asciugare al sole - evitando tatticamente che si rotolasse -, l'avevo strigliata, spazzolata e lucidata da capo a piedi. Il mio istruttore mi aveva anche aiutato a spuntare la sua setosa criniera color crema, che adesso ricadeva ordinatamente da un lato, insieme al ciuffo biondo sulla fronte che stranamente non era ancora in disordine. Dopo averla sellata con attenzione, non avevo fatto che rimirarla tutto il tempo.

«Credo sia la giusta decisione» risposi, voltandomi nella sua direzione come in cerca di conferma. 

Il suo sguardo però era indecifrabile e il suo volto, come al solito, non tradiva alcuna emozione.

«Penso che se lo meriti» aggiunsi, vedendo che Michele non replicava. «Ha avuto un destino che non si meritava e, anche se qui sarebbe stata comunque tenuta benissimo, i proprietari di Killer possono darle di più. Possono portarla dov'era un tempo. È quello che desidera anche lei, ne sono certa. Hai visto l'ultima volta, come saltava? È quello che vuole fare e, pur odiando a morte quella coppia, sono sicura che loro le potranno dare una mano molto più di noi.»

Lo vidi sorridere impercettibilmente. «Va bene... rispetto la tua decisione.»

Fece per tornare al Club House, dove lo aspettavano le altre ragazze, ma un presentimento, dato dal suo tono neutro, mi fece esitare per un attimo. 

«Tu... tu cosa avresti fatto?»

Lui si bloccò, voltandosi verso di me. «Non importa che tu lo sappia. Hai fatto un ragionamento corretto, non hai scelto a tuo favore, come penso avrebbe fatto chiunque, ma cercando di metterti nei panni di quei cavalli, di quel che sarebbe stato meglio per loro. Non devi pensare di aver fatto la cosa sbagliata... anzi. Non potrei essere più fiero di te, Sarah.»

Detto ciò si allontanò a passo veloce, piantandomi lì.

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Honey trottava di buon grado lungo la pista, sotto gli occhi attenti dei proprietari di Killer e di Michele. Io cercavo di assecondarla nei movimenti come meglio potevo, per farle fare un'impressione migliore possibile: ero fermamente convinta che la giovane coppia l'avrebbe presa anche se si fosse limitata a smontonare per il campo come le prime volte che la montavo, ma non lo stavo facendo per loro, lo stavo facendo per noi. Quello era il frutto di tutto il nostro lavoro, le fatiche a cui entrambe avevamo dovuto sottoporci e le speranze che avevamo riposto l'una nell'altra; era la prima e ultima occasione che avevamo per dimostrare quanto lunga fosse la strada che avevamo fatto, quanto fosse solido il legame che adesso ci univa. Honey sarebbe andata avanti, ne ero certa. Ed ero più che felice di averla accompagnata fin lì.

«Fai un paio di giri di galoppo a partire dall'angolo e dopo vi sistemo un breve percorso!» esclamò Michele, e io gli feci un cenno affermativo in risposta. 

Quindi riacciuffai le redini con entrambe le mani, le strinsi saldamente e, giunte nell'angolo, spronai dolcemente Honey a cambiare andatura.

La palomina obbedì subito e io mi sistemai sulla sella, spingendo in giù i talloni, mentre lei allungava la falcata e esibiva un canter ampio e regolare che i proprietari di Killer sembrarono davvero apprezzare, a giudicare dalle loro espressioni imbambolate.

La Honey di un tempo non si sarebbe risparmiata qualche sgroppata per dispetto, ma quel giorno sembrava capire l'importanza che avrebbe avuto un comportamento impeccabile e non esitò a mettere in mostra tutte le capacità di cui disponeva: abbassò il collo senza opporsi e, sedendomi sulla sella, potei sentire quanto stava spingendo di posteriori. Non l'avevo mai riunita così bene al galoppo, ed era tutto merito suo.

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