Capitolo 13

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Probabilmente Diablo dovette captare il mio brusco cambio d'umore. 

Un attimo dopo aver letto quelle parole – le parole di Benedetta, avrei potuto giurarci – sul foglietto, il cuore che mi martellava nel petto, la rabbia che mi offuscava la vista, l'animale ebbe un fremito e scattò in avanti.

Riacciuffai le redini per un pelo, ma non c'era verso di trattenerlo. Sapevo che i cavalli non potevano distinguere fra le emozioni; che la rabbia, la paura, l'insicurezza, venivano tutte vissute da loro come situazioni di immediato pericolo, ma non riuscivo a calmarmi. Le mani mi tremavano, la presa sulle redini era malferma, avrei voluto urlare o scoppiare in lacrime, o tutt'e due le cose. Ebbene, c'era riuscita, quella strega, a rovinarmi la gara!

Tentai invano di far rallentare Diablo, ma in quel momento non riuscivo a controllare neanche me stessa, figurarsi lui. Con le lacrime che mi pizzicavano le guance, impotente, lasciai che l'animale mi conducesse dove voleva, attraverso il sentiero, che si faceva via via più ampio man mano che ci allontanavamo dal cuore del bosco.

Ma, proprio come me, Diablo non aveva la più pallida idea di dove fossimo e ben presto iniziò a galoppare, nitrendo a tutto spiano, voltando la testa da una parte all'altra come se fosse alla ricerca di qualche punto di riferimento che potesse riportarlo a casa.

«Fermati, dannazione!» gridai, la voce rotta dal pianto, ma la mia agitazione contribuì solo a farlo aumentare di velocità. 

Galoppavamo ormai a rotta di collo fra gli alberi e vedevo poco e niente per via delle lacrime, ma non azzardavo lasciare le redini per strofinarmi gli occhi, perché avrebbe significato rovinare a terra.

«DIABLO! » urlai, isterica, tirando le redini a più non posso. 

In maneggio mi distinguevo per la mia mano leggera e Michele mi faceva spesso i complimenti; ma se avesse potuto vedermi, in quel momento, molto probabilmente sarebbe inorridito per il modo in cui stavo strattonando il suo puledro, peraltro senza alcun effetto. Arrivai persino ad afferrarlo per l'anello del filetto, nel tentativo di fargli voltare il capo da una parte perché si fermasse ma, anche con la testa piegata da un lato, continuava testardamente a correre.

Dopo qualche metro, infastidito dalla mia azione, Diablo si bloccò all'improvviso, ma non ebbi modo di gioirne, perché l'attimo dopo era su due zampe, impennato a candela. Mi aggrappai al suo collo, ma lui lo scosse con violenza, nel tentativo di liberarsi da me. Dopo qualche passo in quella posizione, come un animale da circo, si lasciò cadere sulle quattro zampe con un tonfo, facendomi ricadere pesantemente sulla sella, e fece una violenta sgroppata. Tentai di tenermi indietro con la schiena, ma l'attimo dopo l'animale era di nuovo su due zampe e dovetti spostarmi in avanti. Impennava e sgroppava, su e giù come su una montagna russa ma, nonostante il mio stato alterato, rimanevo caparbiamente attaccata alla sella e alla fine Diablo, madido di sudore, fu costretto a fermarsi.

Non appena sentii che teneva tutte e quattro le zampe ancorate al terreno per più di mezzo secondo, non ci vidi più: tolsi in fretta i piedi dalle staffe e mi lasciai cadere giù di sella. Una volta a terra, mi dovetti aggrappare alla criniera dell'appaloosa – che, lungi dall'avermi perdonato, fece per darmi un morso – per non cadere, tanto mi tremavano le gambe.

Lo fissai in cagnesco, incurante degli insegnamenti del mio istruttore circa il guardare gli animali che in natura sono prede fisso negli occhi.

«Maledetto» sibilai, tirando su col naso. 

Lo afferrai per le redini e mi avviai a passo di carica lungo la strada, ignorando i suoi tentativi di impuntarsi. Ben presto però, vedendo i miei modi bruschi e rabbiosi, Diablo dovette capire l'antifona e si rassegnò a seguirmi, tenendosi ad un'adeguata distanza di sicurezza.

My dream come trueWhere stories live. Discover now