Capitolo 20

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Mentre percorrevo il vialetto che conduceva al Club House, il mattino dopo, mi pareva di stare andando al patibolo.

Al solo ricordo di ciò che era successo il giorno prima, le guance mi si imporporavano e sentivo le gambe tramutarsi in gelatina. Non riuscivo a capire che cosa mi stesse succedendo: in fin dei conti, di concreto non era successo assolutamente niente. Ma una vocina nella mia testa stava lì a ricordarmi che non era successo nulla solo perché io ero fuggita a gambe levate. Sentivo infatti che, se fossi rimasta sotto la veranda, l'istinto avrebbe avuto la meglio su di me, ma non avevo idea di quello che mi avrebbe fatto fare e avevo una paura matta di scoprirlo.

Mentre camminavo verso casa, il giorno prima, nel tentativo di schiarirmi le idee sotto la pioggia, ero giunta alla conclusione che la botta che avevo preso la mattina, cadendo da Tramontana, mi avesse fatta rincretinire. Tornata a casa, ero troppo scioccata per fare qualsiasi cosa ed il mio aspetto gocciolante non aveva certo facilitato le cose con i miei genitori.

«Non potevi farti dare un passaggio da Michele?» aveva chiesto mia madre, fissandomi accigliata e, nell'udire il suo nome, c'era mancato poco che mi tradissi.

A cena avevo lo stomaco talmente sottosopra che non ero riuscita a mangiare niente e, dando nuovamente la colpa alla caduta da Tramontana, ero riuscita miracolosamente a congedarmi dai miei e a fuggire in camera mia. Mi ero rintanata sotto le coperte, cercando di dormire, ma la mia mente lavorava febbrilmente e mi tenne sveglia buona parte della notte. Eppure, non appena la mia testa cercava di focalizzarsi sul significato che aveva avuto per me quell'episodio, mi sforzavo subito di pensare a qualcos'altro e le impedivo di concentrare l'attenzione lì. Come quando guardavo un film con i miei genitori e, facilmente impressionabile qual'ero, distoglievo di scatto lo sguardo dallo schermo quando compariva una scena violenta, perché non mi restasse impressa nella mente, continuavo ad evitare di pensare a quell'episodio. Ma non potevo evitare Michele.

Quando mi parai di fronte al Club House e lo vidi, circondato dalle altre ragazze, mi venne istintivamente voglia di fuggire. Troppo tardi. Voltandosi verso il vialetto, Deborah mi aveva notata e non tardò a farlo sapere a tutti.

«SARAH!» strillò, facendo voltare tutti nella mia direzione, Michele compreso. Ero in trappola.

L'istruttore mi inchiodò con gli occhi ed io sostenni il suo sguardo, sperando che il mio non tradisse il conflitto che avevo in corso dentro di me. Quanto a lui, impossibile sapere cosa gli stesse passando per la mente.

Realizzando di non poter rimanere in mezzo al vialetto come una bella statuina, azzardai un cenno di saluto e andai loro incontro. Di colpo, vidi Michele mutare espressione e rivolgermi uno dei suoi sorrisetti.

«Sarah» esclamò, e lo fissai destabilizzata. «Sai che giorno è oggi?»

Scossi la testa. Non capivo dove volesse andare a parare. Stava cercando di fare chiarezza in quello che era successo il giorno prima? Davanti a tutte loro? Inorridii.

«Stamattina non posso, perché devo fare lezione a Debs e Wind in tondino» continuò e Deborah mi lanciò uno sguardo estasiato. «Ma questo pomeriggio sellami Killer, ok?»

Aprii la bocca senza emettere alcun suono e mi trattenni a stento dal darmi una manata in fronte. Killer! Con quel che era successo, mi era completamente passato di mente il fatto che Michele quel giorno lo avrebbe montato.

L'istruttore sembrava del tutto tranquillo, mentre si affrettava a dare spiegazioni alle altre ragazze, che non capivano il perché della sua affermazione, e mi sentii un'idiota.

Con in sottofondo i loro commenti entusiasti, tirai un sospiro di sollievo, realizzando che tutto quello che era successo era avvenuto solo nella mia testa. Michele era lo stesso di sempre.

My dream come trueUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum