Puzzle

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Stavo seduta su quella scomoda seggiola di legno, tenevo le braccia distese sul banco e giocherellavo con la penna. La professoressa passeggiava avanti e indietro mentre spiegava l'ottavo capitolo del libro di storia. Ascoltavo distrattamente, ero concentrata a guardare fuori dalla finestra. Osservavo quel cielo grigio, cupo e triste, classico di una giornata invernale. Pensavo a sabato sera, non avevo mai smesso di pensarci. Chissà invece a cosa pensava lui. Lo avevo lasciato lì, da solo a pensare a cosa avesse fatto di male. Il fatto era che lui non aveva sbagliato in nulla, ero io ad essermi comportata malissimo. Stupida. Bambina. Questo ero. A questo punto non mi restava altro che chiedere scusa e se scusarmi non fosse bastato? Avevo sprecato l'occasione, quella di essere finalmente felice. Poi la campanella suonò e mi riportò alla realtà. Varcai la soglia del cancello con la convinzione che non l'avrei più trovato lì fuori ad aspettarmi. Lui, il cattivo ragazzo, bello da morire, buono solo per me. Steve, come al solito era in moto, Vane ora aveva il motorino quindi rimasi da sola alla fermata dell'autobus. Salii sul mezzo e con mia "non sorpresa" mi ritrovai, ancora una volta, di fronte a quello sguardo.
Stavo seduta vicino al finestrino, con la testa appoggiata al vetro e la musica nelle orecchie. Qualcuno mi si sedette affianco. Mi diede un colpetto sulla spalla. Tolsi le cuffiette e mi voltai.
- Cosa ascolti di bello?
Sgranai gli occhi quando quegli occhi erano vicini, troppo vicini ai miei.
- Che maleducato - mi porse la mano - Il mio nome è Michael - Il tono della sua voce era profondo, intenso
Esitante gli porsi la mano anch'io, la afferrò e la baciò.
- Jessica, piacere - mi presentai imbarazzata da quel baciamano.
- Scusa se il mio guardo ti può aver infastidito.
Lo squadrai perplessa e diffidente.
- Non avrai pensato che io sia uno di quei pervertiti, spero!
Scossi la testa.
- Grazie al cielo! - con un tono di voce più basso e profondo mi disse:- Ammiravo solo una bella ragazza.
Arossii, sentendomi terribilmente a disagio. Non seppi cosa dire, per fortuna dovevo scendere. - Oh, sono arrivata. È stato un piacere conoscerla. - mi alzai, percorsi il corridoio in fretta, le porte dell'autobus erano già aperte e balzai giù. Avevo capito: voleva solamente provarci. E io che mi ero fatta mille paranoie inutili...
Percorsi il tratto di strada dalla fermata fino alla piccola via prima del mio quartiere, svoltai l'angolo della casa all'inizio del vicolo.
Non feci nemmeno a rendermi conto di quel che accadde: mi ritrovai con le spalle al muro, una mano mi tappava la bocca. Mi spaventai, ma poi vidi i suoi occhi.
- Non urlare, per favore - chiese mentre toglieva la sua mano dalle mie labbra.
- Ma sei impazzito? Mi hai fatto prendere un colpo!
- Anch'io ho preso un colpo l'altra sera - la mascella si contrasse - Che diavolo ti è preso? Sei sparita! Hai spento il cellulare e a casa non rispondeva nessuno!
Mi teneva ancora saldamente bloccata al muro gelido, mi teneva stretta... non era la prima volta.
Piccoli frammenti di ricordi si sistemavano in ordine sparso nella mia mente - C'eri anche tu. - mormorai.
Mi guardò dubbioso.
- Alla festa. C'eri anche tu. - precisai. Finalmente ero riuscita a ricomporre alcuni pezzi del puzzle.
- Di cosa stai parlando?
- Ora ricordo.
- Jessica, di cosa...
- Non far finta di niente. Perché mi mentite? - ero confusa, la testa iniziava a diventare pesante - Perché Steve non mi ha detto tutta la verità, lui non mi ha detto che c'eri anche tu - non riuscivo più nemmeno a parlare, ogni parola che mi usciva dalla bocca era una lama che mi trapassava la gola - Io, non mi sento bene - la testa girava e faceva male, le gambe cedettero e persi equilibrio, ma Scott mi afferrò saldamente e non mi lasciò cadere.
- Hey, ascoltami. Devi rimanere sveglia.
Rimanere sveglia... ancora.

- Ascoltami, principessa. Devi fare solo un ultimo sforzo. Devi dirmi dove sono le chiavi di casa.
- Tasca anteriore dello zaino, la chiave più piccola apre il cancelletto, quella verde è quella del portone - farfugliai a fatica.
Scott mi reggeva con un braccio, con l'altro le prese, aprì il cancello, percorremmo lentamente il vialetto, trascinavo un piede dopo l'altro, lo sforzo più grande lo faceva lui che sorreggeva tutto il peso del mio corpo, poi aprì il portone, i muscoli erano in tensione da troppo tempo, il braccio iniziò a tremare, rimaneva solo da aprire la porta di casa. Quattro mandate, quattro giri della chiave, quattro colpi, solo quattro secondi, forse meno.
Uno, due, tre... le mie gambe cedettero e le palpebre si chiusero.

GUARDIAN - il mio angelo custodeWhere stories live. Discover now