10° Capitolo

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Un' autopattuglia arrivò in quel momento e due poliziotti scesero in fretta per cercare in qualche modo di risolvere la situazione, ma Louis fu più veloce di loro e si pose davanti a quegli uomini come un vero e proprio scudo umano.

"Agenti, sono io, Louis Tomlinson. Sono in grado di gestire benissimo la situazione da solo."

Detto questo, si girò verso l'uomo che lui diceva essere suo padre e con movimenti molto lenti e sussurandogli parole riuscì a togliergli di mano quella bottiglia e a lasciare andare il povero ostaggio.

Prese sottobraccio il padre, in una specie di stato di shock, conducendolo verso la macchina, ma fu fermato dagli sbirri. 

"Dove crede di andare? E' la terza volta in un mese che succede una cosa del genere mio caro signorino Tomlinson, la gente è più che spaventata. Questa volta suo padre verrà con noi."

"No! Non vedete che non sta bene? Mi sono allontanato per troppo tempo, la colpa di questa orribile circostanza è solo mia."

"Suo padre ha bisogno di aiuto da persone esperte, perchè non vuole capirlo?"

"Mio padre ha solo bisogno di un pò di attenzione e me ne occuperò io."

Lanciò uno sguardo severo a quel poliziotto e, anche se un pò titubante, lo lasciò andare.

"Essia, ma la prossima volta non tollererò più scuse."

La gente scrutò entrambi avvicinarsi con passi torpidi all'automobile ma nessuno dei due sembrò farci caso. Louis si rivolse a me e mi disse di entrare in macchina, immediatamente lo ubbidii.

Dopo aver visto quella scena mi spaventava essere in macchina con un individuo del genere, ma di Louis mi fidavo e questo allentava di molto le mie preoccupazioni.

"Spero non ti abbia spaventata."

Ed ecco il suo solito sorriso far ritorno sulle sue labbra. Il suo volto aveva completamente perso tutta quella rabbia e quell'agitazione dei precedenti minuti.

"Non in modo preoccupante."

Osservai nello specchietto in alto il padre dietro di noi. Era un uomo sulla cinquantina dai capelli brizzolanti con delle leggere sfumature di bianco ai lati. Posava ricurvo sulle proprie gambe con le mani incrociante e già da questa atteggiamento si poteva benissimo capire che qualcosa lo turbava e non era per niente a suo agio. Gettai il mio sguardo altrove e compresi che Louis non stava percorrendo la strada verso casa mia.

"Dove stiamo andando?"

"Vorrei portare mio padre a casa subito, se non ti dispiace."

"No, tranquillo."

La casa di Louis era in un piccolo quartire nella periferia della città. Esternamente era piuttosto mal ridotta e dubitavo che dentro potesse essere migliore. Delicatamente scese dalla macchina e aprì lo sportello anteriore per prelevare il padre.

"Diana, seguimi, ne approfitto anche per farti vedere il buco in cui vive mio padre."

Disse, con una risata nella quale sentii un pizzico di isteria. Allora quello non era la casa in cui abitava Louis, bensì il padre. Mille dubbi e domande iniziarono a prensentarsi nei miei pensieri ma la situazione era già abbastanza incasinata e pertanto li scacciai immediatamente per non complicarla ulteriormente. 

Tutti siamo stati in case non nostre e a me è sembrato sempre che ognuna avesse un odore proprio. Ci sono case che odorano di fiori, case che odorano di dolci, case che odorano di caffè. In qualsiasi casa in cui io fossi stata fino ad allora tutte avevano avuto un' essenza più o meno gradevole, questa, però, faceva eccezione. L'odore, che io chiamerei tanfo, di alcool era forse addirittura superiore a quello che si potrebbe trovare in un bar o in pub e quello di fumo era stato in grado di consumare le pareti da renderle giallastre e rovinate. Per quanto riguarda i mobili, essi erano mal ridotti e tutto non sembrava essere pulito da anni.

"Aspetta qui, io porto mio padre di sopra."

Restai immobile al centro di quella stanza, che sarebbe dovuto essere il salone, per circa cinque minuti prima del ritorno di Louis. Non avevo la minima intenzione di avvicinarmi a qualsiasi oggetto si trovasse in quel posto. Quando vidi Louis scendere le scale aveva l'aria distrutta e appena mi guardò il mio sguardo si poggiò sui suoi occhi. Trasmettavano una di quelle tristezze distruttive, quel tipo di tristezze che ti attaccano quando credi che tutto ciò che ti circonda si sia rivolto improvvisamente contro di te. 

"Aspettiamo dieci minuti prima di ripartire. Il sonnifero che ho dato a mio padre ha bisogno di fare effetto."

Era una giornata che ero fuori di casa, avevo davvero bisogno di ritirarmi ma davanti a quell'espressione di certo non avevo il coraggio di oppormi.

Si accasciò a peso morto su un divano portandosi una mano sul viso. 

"Hai intenzione di restare in piedi ancora per molto?"

"Non mi va di sedermi."

"Ho un'idea."

Si tolse la felpa e la poggiò sul divano in modo da coprirne una parte vicino a se.

"Ora va meglio? Puoi stare certa che la mia felpa è pulita."

Con un piccolo sorriso mi avvicinai e mi sedetti vicino a lui, facendo attenzione a dove mettessi le mani o i piedi.

"Tranquilla, mio padre non è proprio pazzo, ha solo molti problemi."

Girai il mio volto verso di lui e vidi che stava assumendo un'altra posizione. Si mise più eretto quasi pronto a raccontare una storia.

"So che molto probabilmente tu ti stia chiedendo "c'è una cosa normale nella vita di Louis?" Diana, mi dispiace deluderci ma proprio non c'è."

Scosse la testa a destra e a sinistra ed iniziò a ridere e per non farlo sentire stupido, iniziai a farlo anch'io.

"Sai ora vedi questa casa ridotta peggio di una abbandonata ma un tempo non era così, credimi. Era una di quelle case tipiche delle famiglie perfette. Mia madre era sempre in cucina, quanto amava cucinare. Tutto il vicinato adorava le sue torte e i furbi facevano di tutto per scroccarne una fetta. Ovviamente io ero il primo ad assaggiarle ma soprattutto l'unico a cui dava le fette più grandi. Mi viziava davvero troppo quella donna. Mio padre, invece, stava spesso nello scantinato progettando nuovi prototipi di elettrodomestici. Ripeteva in continuazione che un giorno avrebbe inventato qualcosa che sarebbe stato venduto in tutto il mondo e da quel giorno saremmo diventati milionari. Lui, invece, mi ha insegnato a sognare troppo."

Mentre mi rivelava tutto ciò guardava ogni singolo luogo di quell'abitazione con aria malinconia ma allo stesso tempo, in un certo senso, felice.

"Tutto però è cambiato da quando mia mamma si è ammalata. Abbiamo impiegato tutti i nostri soldi e il nostro tempo alla ricerca di qualche cura che potesse salvarla. La casa mano mano senza le sue cure cadde nell'abbandono più totale e con essa anche mio padre."

Involontariamente gli strinsi la mano. Ero piuttosto scombussolata da tutto ciò che mi aveva riportato, non avrei proprio immaginato che dietro ad un ragazzo così sorridente si nascondesse un passato così triste e disastroso. 

"Non hai intenzione di abbandonarti anche tu, vero?"

Quelle furono le uniche parole che mi uscirono dalla bocca e speravo di non essere stata né troppo spiritosa e né troppo invasiva.

"Certo che no! E sai perchè? Ho una promessa che ho fatto proprio alla ragazza che ho ora al mio fianco e ho intenzione di mantenerla e realizzarla fino alla fine dei miei giorni."

Mi prese una mano e la misi sul suo cuore. Batteva forte, anzi fortissimo quasi che non si potessero distinguere i battiti gli uni dagli altri. Arrossii di colpo e sfoggiai un sorriso enorme.

"Posso provare una cosa?"

"Cosa?"

All'improvviso scostò un capello dalla mia guancia per riporlo dietro al mio orecchio destro per poi avvinarsi sempre di più al mio volto. Avevo l'instinto, preoccupata, di allontonarmi ma il mio cuore mi diceva di restare ferma al mio posto. Le sue labbra si posero lentamente sulle mie e si unirono in uno dei più bei baci di tutta la mia vita. Quel solito brivido che percorreva la mia schiena quando gli ero vicina era così intenso da non sentirsi così come ogni singola parte del mio corpo.

He was magneticWhere stories live. Discover now