2.9

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Non succede due volte di essere amato con l'intensità di una missione.
Non succede a molti di noi neanche una volta.



Se l'inferno avesse avuto una consistenza, sarebbe stato esattamente come la stoffa soffice dei sediolini della macchina di Mattia. Se avesse avuto un odore sarebbe stato quello della birra, che ancora sentiva sotto al naso, come il marchio spregevole di un delitto. Si stava tormentando da ore. Avrebbe voluto chiamare Mario, chiedergli d'incontrarlo. Se non ci fosse stata Alessia probabilmente sarebbe saltato in macchina e si sarebbe precipitato da lui. Pensò persino di passare sul posto di lavoro, ma Mario non apprezzava le irruzioni improvvise.

Aveva digitato mille volte il suo numero, o un sms da mandargli, ma poi, alla fine, aveva desistito. Steso sul divano, non faceva altro che pensare a quanto fosse successo la sera precedente, con un'inquietudine così violenta che lo stava rompendo, disintegrando. Claudio si sarebbe perso, prima o poi. Si sarebbe perso in mezzo a quel mare in tempesta, non avendo più appigli, non avendo qualcuno a cui affidarsi.

E aveva bisogno di Mario con tutte le sue forze.

Baciare Mattia, spingersi oltre in quel modo, gli era sembrato completamente e naturalmente sbagliato.

Si sedette sul divano osservando il cellulare, chiedendosi per l'ennesima volta se fosse il caso di chiamare Mario.

La verità, nuda e cruda, se riusciva a non addurre delle motivazioni fittizie a se stesso, era che aveva paura del suo giudizio. Aveva paura che Mario potesse iniziare ad odiarlo, o allontanarsi ancora di più. Eppure sentiva che l'unico a cui avrebbe potuto rivelare una cosa del genere fosse lui. Non Paolo, non Rosita, che se anche erano suoi amici da tanti anni non avrebbero mai immaginato l'altro lato della medaglia, la parte nascosta della sua essenza. Solo con Mario si sentiva libero di essere se stesso. Solo con lui non aveva mai avuto paura di esporsi.

Senza pensare oltre digitò un sms e lo inviò subito, prima di pentirsene.

Mario, devo parlarti urgentemente. Passi da me?

Era sera e pioveva. E Claudio guardava fuori dalla finestra, impaziente, aspettando la risposta che forse avrebbe cambiato per sempre la sua vita.

***

Quando sentì il gracchiare del citofono Claudio sapeva già che si trattasse di Mario, anche se non aveva ricevuto alcuna risposta a quel messaggio. Erano passate due ore. Due ore in cui si era torturato, due ore in cui aveva cercato in ogni modo possibile di pensare ad altro, guardando la tv, cercando di mangiare, anche se aveva poco appetito, mandando note vocali a tutti i suoi amici per il gusto di prenderli un po' in giro. Aveva controllato spasmodicamente la chat di Mario per cercare di capire se avesse ricevuto il suo messaggio.

Il suono del citofono lo ridestò da quell'incubo. Si alzò per andare ad aprire senza chiedere chi fosse. Fece lo stesso con la porta, lasciandola spalancata, per poi tornare a trascinarsi sul divano, improvvisamente privo di forze. Aveva detto a Mario che avrebbe voluto parlargli, e dentro sentiva l'istinto di farlo. Sapeva che era la cosa giusta da fare. Eppure improvvisamente fu assalito da una sensazione di panico. Forte come un pugno dritto alla bocca dello stomaco. Cosa avrebbe mai potuto dirgli? Non se la sentiva di tirare fuori l'argomento Mattia.

In pochi secondi mille pensieri gli attraversarono la mente, leggeri e semplici come nuvole d'ovatta. Adesso gli dico che ho cambiato idea e lo rimando indietro. Oppure m'invento qualcosa. Non voglio dirgli di lui.

Una parte di sé sentiva il bisogno di riversare tutto il proprio malessere, ma in quel momento non era quella preponderante.

Sentì il rumore dei passi che, cadenzati, indicavano che Mario fosse vicino. E sì, era proprio Mario. Lo riconosceva anche dal solo rumore dei passi. Gli ricordava la sua andatura.

L'altra parte di meWhere stories live. Discover now