2. Una figlia dimenticata

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Dopo aver scoperto che la cuoca mi aveva parlato dell'oceano e di tutti gli splendidi e lontani paesaggi che caratterizzavano il mondo esterno, i divieti imposti da mio padre aumentarono, giorno dopo giorno.
Fino a quando non mi fu ordinato di tenere compagnia al giardiniere per tutto il tempo, e di muovermi per il castello solo in compagnia delle guardie reali. E ciò che credevo già noioso, lo divenne ancora di più.
Mi era concesso di sporcare e rompere tutto, ma non di sognare: ero libera solo a metà.
O, forse, per niente.
Anche leggere qualcosa che a mio padre non piaceva era vietato, e i libri a cui avrei voluto dare un'occhiata dovevano superare prima un suo controllo. In realtà, quelle pagine ricevevano più attenzioni, di quante il re non ne riservasse a me. Ma, in generale, tutto il castello e ogni persona che vi abitava veniva ascoltata e curata da mio padre più di me.
Da quando la mamma morì, infatti, molte cose cambiarono: mio padre, ogni aspetto del nostro vivere quotidiano e il mio modo di vedere le cose; l'equilibrio della nostra vita venne spezzato dalla figlia di un nobile, e di una persona tanto colta, quanto avida di conoscenze, e ricca di finta cultura.
Arisu, infatti, si impossessò in poco tempo di tutto ciò che apparteneva a mia madre e che era di suo gradimento. Il resto, invece, lo gettò via senza problemi; e senza che nessuno fosse pronto a fermarla. Nemmeno mio padre fece qualcosa per impedire che alcuni oggetti di mia madre venissero sfigurati dal tempo che passava, sistemati nei posti più trascurati del castello, dove presumo siano stati sommersi dalla polvere di chi dimentica. Ma io non ho mai scordato; e la mia mente mai rimosso l'immagine della donna snella e graziosa che mi mise al mondo, né il mio naso omesso il suo dolce profumo. Né i miei occhi hanno dimenticato la sua voglia di vivere la vita e di godersela, anche durante il periodo che mise fine ai suoi sogni: neanche la morte spaventava mia madre, o la metteva in difficoltà; niente e nessuno riusciva a toglierle le parole dalla bocca, ed era impossibile che qualcuno riuscisse ad offenderla al punto tale da farla rimanere in silenzio per del tempo immemore, incapace di difendersi.
Mia madre era una guerriera a cui non importava niente del grande potere che deteneva nelle mani, ma ugualmente aveva la stima di tutto il reame, date le sue grandi capacità di analisi, la riservatezza e la gentilezza che riservava per la gente più bisognosa. In effetti, ella proveniva proprio da un simile ambito sociale. E solo quando mio padre si invaghì, ricambiato, di lei, allora mia madre poté cambiare stile di vita e contare su uno più dignitoso e umano.
Mio padre, invece, di puro sangue reale, amava il suo trono. Ma era soltanto un vigliacco che non sapeva dir di no alle regole, nonostante gli sembrassero inopportune. E tutti obbedivano ai suoi comandi, semplicemente perché era il loro lavoro, e non perché confidavano nelle sue doti.
Mio padre era solo una bugia, e ha sempre mentito agli altri per non rinunciare ai suoi privilegi. Mia madre, invece, è sempre stata schietta e sincera su ciò che avrebbe voluto provare a cambiare del mondo in cui viveva. E parlava; parlava sempre e con chiunque era disposto ad ascoltarla.
Il silenzio, invece, era l'unica cosa che si addicesse al modo di fare di mio padre. E la ribellione la sola arma che conosceva mia madre: a pensarci bene, erano così diversi i miei genitori.
Forse, è per questo che mio padre riuscì a dimenticarla così in fretta. Forse, è proprio per questo che io non la scorderò mai. Non lo feci da bambina, e giurai che mai accadesse.
In fondo, perché i lunghi capelli crespi di Arisu avrebbero dovuto rimpiazzare quelli morbidi e profumati di mia madre? E perché mai avrei dovuto preferire il suo sguardo languido e melanconico, quasi vuoto e insoddisfatto, ma al tempo stesso assai malizioso e cattivo, affilato, agli occhi vivi, speranzosi e buoni di mia madre? La sua voglia di potere e ricchezza a quella di vivere della sola donna che ho sempre amato? Perché avrei dovuto apprezzare e amare la mia matrigna, obbedire a mio padre che mi intimava di passare più tempo con lei, anziché con la servitù della famiglia reale, quando quella donna non desiderava altro che la mia assenza? Certo, sapeva mentire bene e comportarsi con vera premura dinanzi a mio padre. Ma quando eravamo da sole, riuscivo a comprendere appieno le sue vere intenzioni e a concentrarmi sul solo obbiettivo che avesse in mente. E, in effetti, come biasimarla: io ero l'unica cosa che impediva ad Arisu di impossessarsi di tutto ciò che, una volta morto mio padre, sarebbe stato mio. Lei, infatti, per quanto fosse stata abile, con la sua mimica da attrice, ad abbindolare mio padre e a servirsi della sua ingenuità per accaparrarsi un posto al suo fianco, non poteva nulla contro di me. In fondo, sulle carte, anche se non nella vita di tutti i giorni, io ero più importante di lei; l'unica vera erede al trono di mio padre.
Eppure, sebbene le cose fossero ovvie e sembrarono già stabilite, come se non ci fosse nient'altro da fare, se non arrendersi, lei non si arrese. E Arisu tentò fino alla fine di conquistare un posto d'onore per la figlia avuta con il re, a cui mio padre dedicava tutto il tempo libero e i soldi che aveva, e per esaudire la sua voglia di denaro e lusso. Fin quando non riuscì a disarmarmi, cogliendomi alla sprovvista, e proponendo a mio padre qualcosa che andava comodo persino lui e che non avrebbe più potuto rimandare.
Ricordo ancora quel giorno. Quello in cui ero impegnata a curare le aiuole con Atsumichi, e uno dei cavalieri e degli uomini più fidati del re mi informò che egli voleva vedermi: ero così felice!
Quella volta fu la prima in cui, dopo la morte di mia madre, ricevetti delle vere attenzioni, da parte di mio padre; insomma, in cui egli mi accolse con tutte quelle premure che si riservano per le proprie figlie: pensai che non mi aveva dimenticata; che, finalmente, si era ricordato della mia esistenza. Ma anche quel giorno non fu altro che una bugia. L'ennesimo raggiro a cui ero stata sottoposta da coloro che credevo la mia famiglia.
Coloro che, mentre io cercavo di accontentare le loro aspettative e rendere fieri di me, pensavano solamente a liberarsi della vergogna che gli facevo patire.

L'amore non ha buone maniere Where stories live. Discover now