10. Il principe azzuro

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Qualcosa sfiorava delicatamente il mio viso, facendomi il solletico e costringendomi a tirare su con il naso e a svegliarmi, per scoprire cosa aveva disturbato il mio sonno. Aperti gli occhi, dopo averli stropicciati di poco, data la vista annebbiata, mi accorsi di essere sdraiata sul ramo di un albero altissimo. Tanto da spaventarmi quando mi resi conto della distanza che mi separava da un verde prato fiorito.
Riuscii a sedermi, stando attenda a non sporgermi troppo per non cadere, e ad inquadrare le piccole foglioline che si erano posate sul mio viso e quelle che il vento aveva agitato, affinché mi toccassero.
E rivolto in alto lo sguardo, il colorato e fitto manto dell'albero su cui avevo giaciuto per del tempo impediva alla luce del sole di illuminarmi fastidiosamente. Soltanto alcuni squarci riuscivano a penetrare all'interno di quella veste verde, e il flebile e delicato riflesso emanato e l'atmosfera creatasi mi facevano tornare la voglia di riposare ancora: ero così frastornata, da poter scommettere di aver dormito una notte intera. Infatti, il sole alto nel cielo poteva voler dire una cosa soltanto: era pieno giorno; io, invece, avevo lasciato casa di notte fonda. Quindi, era già passato un giorno dalla mia decisione di andarmene via dal castello. Era già trascorso un giorno, e io ero ancora viva. Fortunatamente e sorprendentemente, ero ancora viva. E pensai per quanto lo sarei stata ancora.
Poi, mi guardai addosso, e notai con piacere che avevo i vestiti indossati la notte prima.
Cercai intorno a me, ma non riuscivo a scorgere il sacco in cui avevo nascosto il libro di Ayano. Pensai che mi fosse caduto durante l'incontro ravvicinato con il gigante, e tale memoria mi fece anche ricordare che non ero stata io a respingere l'attacco di quel mostro e a difendere la mia stessa vita. Dunque, decisi di farmi forza e feci come per abbracciare l'albero su cui ero capitata.
Delle piccole spinte, e scivolai giù in poco tempo, fino a toccare il suolo: per fortuna, la pianta, in fin dei conti, non era così alta come sembrava a prima vista, e pochi erano i suoi rami più grossi e sporgenti; quelli enormemente difficili da evitare.
Arrivata a terra, notai mio malgrado che la gonna che indossavo si era strappata. Eppure, il nuovo strappo era soltanto un altro da aggiungere alla collezione: almeno, non c'era il pericolo che la gente riconoscesse in me la principessa del mondo interno. Anche se intorno a me nessuno alitava, né le mie orecchie potevano scorgere qualche rumore, di quelli che solo gli uomini sono in grado di provocare.
Con lo sguardo percorsi tutto il terreno circostante, ma non vi era traccia alcuna del mio zaino. Cercai e voltai il mio viso in tutte le direzioni, fino a che i miei occhi non inquadrarono un ruscello. E quella visione mi fece ricordare che avevo una seta pazzesca.
Pertanto, mi avvicinai al piccolo corso d'acqua, mi piegai di poco sulle ginocchia, unii a formare una ciotola le mie mani e riuscii, grazie a quelle, a portare quel liquido trasparente in bocca e a servirmi. Soltanto quando alzai il mio viso e guardai di fronte a me, potei riconoscere che non ero completamente sola, in quel luogo.
E per la seconda volta, i miei occhi castani riuscirono a scontrarsi con i diamanti neri del corvino. I suoi corti capelli neri, lo sguardo affilato che non aveva mai smesso di inquadrarmi e il petto massiccio, in quel momento nudo, il corpo scolpito e forte, di cui soltanto le gambe erano coperte, fecero sì che le mie gote paffute si tingessero di un tenero rosa.
Su una delle pietre poste alle sponde del piccolo ruscello, poi, i miei occhi inquadrarono un pezzo di stoffa; su una roccia, era appoggiata una giacca con due ali incise sopra.

L'amore non ha buone maniere Where stories live. Discover now