9. Mai più sola

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E dopo nove capitoli "introduttivi" (e noiosi), finalmente è arrivato il momento di accogliere il secondo protagonista della storia.
Buona lettura!

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"Lasciate che vi dica che nel mondo esterno è tutto meraviglioso. Ma lì vivono i giganti, principessa Hanji. Fate in modo di ottenere la protezione di qualche soldato in gamba, oppure verrete uccisa."-mi informò la donna, seduta sul suo letto al mio fianco, indicando con l'indice grassoccio una figura che raffigurava la creatura di cui stava parlando e che stava cercando di descrivermi, affinché le stessi alla larga. Ma io ero troppo impegnata a fantasticare su cosa la cuoca avesse detto prima, per concentrarmi sull'unica raccomandazione che ella mi aveva fatto.
Tanto che, presto, dimenticai a cosa Ayano mi avesse pregato di fare attenzione.

Forse, non immaginavo che fossero così spaventosi; così grandi, quei mostri mangiatori di uomini. E dinanzi ad una di quelle crudeli creature, ero davvero inerme. Più innocua del solito. Semplicemente, una briciola, un minuscolo puntino, messo a confronto con tutto il mondo esterno.
In aggiunta, ero da sola, perché urlavo, ma non ricevevo risposta alcuna. Solo il fruscio incessante del vento che scompigliava i miei capelli, quasi come a volermi dire che non mi sarei dovuta più preoccupare di quell'ammasso di paglia che giaceva sulla mia testa; perché, tanto, presto sarei morta. E in completa solitudine.
Fino a quando, ad un tratto, quel suono debole, di sottofondo, ma ugualmente fastidioso, venne sostituito da un altro decisamente più familiare: stavo sognando, oppure la voce che udivano le mie orecchie era proprio quella di mia madre?
Stavo, di certo, sognando.
Anzi, quando la vidi comparire dinanzi a me in abiti casalinghi e semplici, quelli che preferiva indossare quando al castello non c'erano ospiti di influenza, con il suo solito sorriso radioso, credetti, per un attimo, che le allucinazioni fossero un evento antecedente alla morte di ciascuno. Eppure, sembrava così vera!
Stesa a terra com'ero, non riuscivo a toccarla. Ma i miei occhi sembravano parlare al posto delle mani insanguinate: purtroppo, non avrei mai potuto alzarmi dal suolo da sola, con il corpo ridotto in quello stato.
Infatti, il gigante aveva preso a morsi il mio braccio. Approfittai della sua lentezza, per strascicarmi velocemente da qualche altra parte. Ma, presto, mi stancai di lottare per una vita alla quale non tenevo e non avevo mai tenuto davvero.
Quando vidi mia madre, o ciò che quel sogno rappresentava, tuttavia, pensai di voler continuare a vivere. Solo allora, mi resi conto di desiderare dell'altro dal mondo in cui vivevo; magari, vendetta.
Ma ero sola, e stavo morendo.
E nessuno sarebbe venuto a salvarmi.
Invece, mi sbagliai. E sbagliai un'infinità di volte, quel giorno.
Perché non sarei mai stata sola, fino a quando il ricordo di mia madre sarebbe stato vivo nel mio cuore: Arisu aveva creduto di poterla cancellare dalla mia vita, gettando via gran parte dei suoi averi. Ma io non avevo dimenticato il suo volto, né la sua voce. E non avevo bisogno di stringere tra le mani i suoi vecchi abiti sfarzosi per rivivere quella donna, alla quale dei beni terreni non importava nulla: mia madre era esistita, e questo aspetto mai nessuno sarebbe riuscito a cambiarlo; nessuno sarebbe mai stato in grado di entrare nella mia mente, e addormentare i ricordi risalenti ai momenti più belli della mia vita.
Ricordavo ancora ogni singolo istante vissuto assieme a mia madre, e la luce che risiedeva nel suo cuore, in quell'istante, sembrava essersi riaccesa nel mio; come una fiamma di speranza.
Ma vidi un fuoco, soltanto quando un ombra misteriosa e due lame scintillanti si pararono davanti a me; tra la mia figura e il gigante, impedendo che le scintille nei miei occhi non finissero col trasformarsi in ceneri. E, tuttora, brucio per il mio salvatore, come mia madre bruciava di passione per la vita; come lui stesso splendeva ed esisteva per proteggermi.
E stavo cadendo nel vuoto; nel mio stesso incendio. Ma qualcuno mi salvò dalle fiamme della disperazione e della rabbia che mi avrebbero disintegrata: quando vidi quella mostruosa creatura in terra, oramai priva di vita, soltanto allora il mio cuore riprese a battere; e il mio naso a respirare per bene e in modo evidente.
Ero veramente grata alla persona che mi aveva salvata, perché per merito suo avrei potuto ancora vivere e realizzare i miei sogni, il vero motivo per cui ero fuggita da casa.
E prima di vederlo in viso e di avvicinarmi alla sua sagoma buia e in posizione trionfante sul cadavere del nemico, pensai a come potesse essere il mio salvatore. Non so perché, ma me lo immaginai biondo. Alto, grosso e muscoloso. Pensai un po' a Erwin, lo ammetto.
Dunque, non riuscii a credere ai miei occhi, quando vidi qualcuno così basso, da sembrare un ragazzino; così cupo, da assomigliare ad un uomo annoiato, che aveva vissuto già cento anni della sua vita.
Ma, nonostante tutto, quel ragazzino era l'unica persona che aveva deciso di aiutarmi. Ed egli era tutto, tranne che un ragazzino; tutto, meno che un vecchio che ha terminato di crescere e fare esperienza.
Eppure, questo l'avrei scoperto solo conoscendo la sua forza ineguagliabile, e pagandone le conseguenze sul mio corpo.
"Stai bene?"-scorgendo il muoversi della bocca del corvino, queste sue parole furono gli unici suoni che riuscii a sentire, dopo il grosso boato provocato dal corpo del gigante precipitato in terra: mia madre era già sparita, quando i miei occhi si chiusero stanchi, dinanzi alla figura del soldato.

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