5. Verità celate

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Piovve per diversi giorni. Quella mattina, invece, il sole era pronto ad illuminare ogni cosa. Splendeva alto nel cielo, sgombro di nuvole e più limpido dell'aria che ci circondava. Essa, infatti, si era fatta opprimente; quasi impossibile da respirare. In carrozza, la situazione era tesa; pronta per esplodere al minimo passo falso.
Dunque, tutti preferivamo tacere per non infastidire nessuno. Tutti, eccetto qualcuno che esisteva esclusivamente a quello scopo.
"Avresti potuto acconciarli meglio. I tuoi capelli, intento. E come mai non hai deciso di indossare il vestito che avevamo scelto insieme?"-disse Arisu, con voce pungente come al solito, per provocarmi. Ma, per fortuna, quel giorno ero di buon umore: niente avrebbe potuto rovinare quel momento, e quelli successivi; si trattava davvero della mia giornata.
Perciò, mi armai di pazienza e feci bene a tacere e a continuare in silenzio a farmi i fatti miei. La castana, dal canto suo, si era rassegnata, ma non ero a conoscenza del motivo di quella scelta. Saggia, per una volta.
Proseguii, invece, nel mio osservare il villaggio e la gente vivere tranquillamente la propria mattina: tra le grida dei venditori e quelle dei bambini impegnati a rincorrersi, il viaggio non fu troppo stancante. Arrivammo in fretta a destinazione, e il battito del cuore nel mio petto aumentava ad ogni passo mosso in avanti, verso colui che attendeva il mio arrivo.
Mi trattenni dal ridere e fare la sciocca, perché avevo promesso che mi sarei sfogata soltanto quella notte in camera. Quando sarei stata, ormai, da sola. Ma, soprattutto, con la convinzione che tutto era andato per il meglio: odiavo farmi illusioni e odiavo le cose in sospeso; preferivo concluderle, anche a costo di rischiare il peggio. L'avevo ereditato da mia madre il seguente aspetto del mio carattere. Anche il sorriso nervoso che mi illuminava il volto in quel momento, a detto di alcune domestiche che l'avevano conosciuta, somigliava proprio al suo. Ed ero così felice, che dimenticai le parole strappate alla discussione della notte precedente. Dimenticai di prestare attenzione ad Arisu, e ingenuamente mi scordai di non fidarmi di lei.
Non feci nemmeno caso al fatto che le previsioni fatte prima di partire per raggiungere Erwin stavano andando lentamente in fumo. Infatti, inaspettatamente, il cielo cominciò ad imbrunirsi sempre più, mentre delle nuvole nere si facevano spazio su di noi, impedendo al sole di splendere ancora. E sarebbe andata così, anche sulla terra ferma.

~

"Sono contenta di questa scelta. Darai una mano alla gente, proprio in questo momento che il popolo ha più bisogno di un re in grado di comprendere le necessità e le azioni, la vita dei soldati."-confessai a bassa voce, in modo che soltanto il soldato potesse sentirmi. La sala in cui ci trovavamo quel giorno era immensa, quasi come quelle del nostro castello. E non volevo che la sua famiglia né la mia sentisse cosa avevo da dire al mio futuro marito.
Erwin dimostrava molto modestia, in tutto. E sapevo che non era facile per lui ammettere certe verità, nonostante talvolta si dimostrassero ovvie per la gente che gli stava accanto. Leggermente rossa in volto, avevo preferito non guardarlo in faccia: non volevo che capisse quanto ero nervosa e impaziente. Anche se credo che il muovere nervosamente le mie mani e il giocare con i polpastrelli gli avessero fatto già intuire qualcosa. In fondo, il soldato non era stolto. Anzi, era parecchio sveglio, seppure timido e riservato, per quanto riguarda certe situazioni.
Intanto, senza accorgercene, camminando vicini, raggiungemmo l'esterno dell'abitazione. E mentre un vento leggero muoveva dolcemente i nostri capelli e gli abiti che indossavamo, decidemmo senza consultarci realmente di sederci sul muretto in pietra che circondava la casa del biondo, dal quale avevamo un ampia visione di un immenso prato verde; lo stesso in cui giocavamo sempre da bambini.
"Sai, credo che sarai un grande re."-quando fui sicura di giacere su qualcosa di solido, mi lasciai andare, e confessai il mio pensiero tutto ad un fiato, senza pensarci due volte.
"Sono felice che lo pensi."-ammise Erwin, facendomi arrossire e sorridere al tempo stesso.
"Io, invece, sono rimasto sorpreso."-continuò, un po' più imbarazzato di prima.
"Ci conosciamo da tanto tempo. Io ti conosco da tanto tempo, ormai. Mi piaci e immaginavo che tu provassi qualcosa per me, ma non pensavo fossi così sicura da fare questo grande passo."
A quella confessione, il mio sguardo si incupì di colpo. E la perplessità con la quale i miei occhi fissavano il soldato, ingenui e incerti, sembrò interrompere il suo monologo: la mia mente analizzava, una ad una, le parole del biondo, ma senza comprenderle appieno; non riuscivo proprio a capire di cosa Erwin stesse parlando.

L'amore non ha buone maniere Where stories live. Discover now