15. Guai alla taverna

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Salve a tutti, gente ^^

Ma guarda un po' tu chi si rivede: i lettori de "L'amore non ha buone maniere", sì, proprio loro!

Beh,
avrete sicuramente avuto modo di notare che, come "scrittrice" ho molti difetti: non ho l'abitudine di concludere le storie che inizio, sparisco spesso per molto, molto tempo e
non scrivo solo perché devo.
Eppure ho anche un pregio bellissimo: quando ne ho voglia e mi sento ispirata, trovo sempre il tempo per scrivere!
In questi giorni ho voglia di Levihan, spero ne abbiate ancora anche voi: curiosi di scoprire se sono migliorata o peggiorata?
Presto, nuovi capitoli
assai succulenti!

Un bacio.

~•~

Cosa fa una signorina bella come te tutta sola, dolcezza?

Per la prima volta nella mia vita, mi sentii sola, completamente sola, in balia del mondo e delle sue pazzie. A palazzo, non ero mai sola. Anche se credevo che mi avessero lasciato un po' di tempo per me, alla fine dei giochi e a conti fatti, scoprivo che, in realtà, non era mai stato così.
Da bambina, supplicavo mamma di lasciarmi giocare in giardino. Lei prometteva di restare a guardarmi dalla terrazza e, proprio come aveva assicurato, se alzavo lo sguardo in quella direzione, la trovavo sempre lì intenta a bere del tè o a leggere un libro, mai completamente assorta in quello che faceva per tenermi d'occhio, tanto è vero che spesso alzava la mano per salutarmi, quando si accorgeva che io la spiavo dal basso: andavo fiera della fiducia che mi veniva data. Poi, però, capitava che un insetto mi pizzicasse, che mi pungessi con un filo d'erba o un fiore spinoso, e Atsumichi, che casualmente si trovava proprio da quelle parti, nonostante avesse a che fare con un giardino enorme, veniva immediatamente in mio soccorso, senza che lo chiedessi o ce ne fosse realmente bisogno. Anche in quel momento, se guardavo la terrazza, mamma mi sorrideva.
Dopo la sua morte, rimasi un po' più sola. Non c'era nessuno che mi seguisse in giardino, ma le libertà erano sempre molto limitate e capitava che a volte non mi venisse proprio concesso di andarci. Dopotutto, anche se non ero la figlia prediletta del re e quella che probabilmente avrebbe ereditato il titolo del padre, rimanevo una principessa e una di casa: prima, credevo di essere da sola ed ero circondata da affetti; crescendo, iniziai a sentirmi sola anche in mezzo a tanta gente.
In quel momento, mi sentivo totalmente sola e lo ero, inevitabilmente.
Quando quella voce mi raggiunse da dietro, qualcuno provò ad avvolgere il suo braccio attorno alla mia vita. Mi voltai e mi allontanai un poco. Più retrocedevo e più il ragazzo che aveva parlato, poco più alto di me, con carnagione olivastra e occhi chiari, gonfi, scavati da un paio di borse assai evidenti, veniva avanti nella stessa direzione.
<<Io, io>>-balbettai-<<sto aspettando un amico>>-osai con più convinzione, ritrovandomi con la schiena al muro.
<<Non dovresti>>-mi sgridò lui, facendo oscillare l'indice davanti ai miei occhi, come chi sa il fatto suo. Aveva caparbiamente mantenuto, per tutto il tempo, la stessa espressione divertita, sfacciata, che anche in quel momento mi rivolgeva. <<A quest'ora della notte è molto pericoloso girare da sola, in certi posti poi. In giro ci sono dei tipi loschi, cosa darebbero per passare un po' di tempo con una ragazza come te>>-spiegò sornione e infine mi prese il mento tra le mani. Mi guardava fisso negli occhi. In quel modo, potei sentire chiaramente che puzzava di alcool. Aveva gli occhi vuoti, di chi ha bevuto tanto, ma l'aspetto di una persona, se non per bene, quantomeno non malvagia. Sembrava qualcuno che aveva tanto tempo da farsi passare. Ora devo andare, ti ringrazio provai a dire e a divincolarmi dalla presa, ma fui interrotta subito: la sua mano frugava a livello del mio basso ventre e io capii solo in quel momento che gli sembravo davvero un bel passatempo. Mi venne spontaneo aprire la bocca e non riuscii a trattenere un gemito che lui scambiò per un sì, fai pure ciò che devi, passiamo questo tempo insieme e invece era solo un è strano, è nuovo, non troppo fastidioso, certo, ma no, non voglio, non qui, non con te!
Subito fui catapultata nel mondo in cui non mi era mai stato permesso di entrare. Non ne ricordo il motivo, ma gemevo e ridevo insieme, mentre quello sconosciuto mi toccava un po' dovunque. Poi sovvenni di quello che stavo facendo, come ci si sveglia da un sogno ad occhi aperti, scossi la testa, feci per allontanarlo, ma con le sue labbra egli si fiondò sulle mie. Poi mi fece girare, mentre con un braccio mi attanagliava il collo. Iniziai a tirare pugni al muro che avevo di fronte e urlai, ma quelle grida furono presto soffocate da una mano. Continuai a squittire, con forza, a fare rumore, a sbattere i piedi, a muovere il bacino: mi sembrava di non riuscire a svegliarmi da un incubo terribile. Da bambina succedeva sempre. Sognavo di non riuscire a muovermi e, per quanto lo volessi, di non riuscire a gridare. Io ci provavo, con tutta la forza che avevo in corpo, invano. Evidentemente, mi lamentavo così tanto, che mia madre correva sempre in camera a calmarmi. Mi passava una mano sulla fronte, talvolta mi scuoteva un poco, mi accarezzava i capelli, bastava semplicemente che pronunciasse il mio nome, e io mi svegliavo di colpo, ansante, con gli occhi bagnati. Poi, appena sveglia, scoppiavo a piangere per la brutta esperienza e mamma mi cullava tra le sue braccia, spesso rimaneva a dormire con me nel mio letto. Dopo la sua morte, continuò a capitarmi di fare brutti sogni. Mi svegliavo in preda al panico, tutta sudata, ma in una camera perennemente vuota. Mi consolavano solo il cielo e le sue stelle dall'altra parte della finestra: quella volta, non avevo nemmeno quello. Mi ero rassegnata al volere di quel matto, quando quell'incubo si spezzò. Un colpo secco e le sue braccia non cingevano più le mie. Mi voltai, il fiato era corto. Sgranai gli occhi mentre lo vedevo impugnare una pistola. Scintillava alla luce della luna.

~•~

Lo fissavo senza parlare. Stavolta, non perché non volessi, ma proprio perché non mi veniva in mente niente da dirgli. In un certo senso, ero ancora impegnata a riflettere su quanto era successo. <<Stai bene?>>-mi chiese, alzando per un attimo la testa. Il tono della voce era meno severo del solito, anche il suo sguardo sembrava sincero, naturale. Annuii come risposta al suo dubbio e gli sorrisi per averlo rivelato. Ricevetti solamente un ghigno. Poi si voltò dall'altra parte, a guardare le case che sorpassavamo una a una: eravamo saliti di nascosto sul carretto di un vecchio pescatore.
<<Te l'avevo detto di non parlare con nessuno>> <<Infatti non l'ho fatto>>
<<Potrebbe succedere di nuovo>>-mi disse, sinceramente preoccupato.
<<Credo di poterlo sopportare>>-gli sorrisi, come a volerlo rassicurare. Prese a guardarmi. Sembrava in ansia; che ci fosse già passato, in qualche modo. Lo vidi affondare la pistola con cui prima aveva colpito quell'uomo in una sacca. Rabbrividii.
<<Potevi anche evitare di sparare>>-ammisi sinceramente, ma Levi sembrava non capirmi. <<Potevi colpirlo>>
<<Sai cosa ti avrebbe fatto se non fossi arrivato in tempo?>> Annuii. <<E se non ci fossi stato? Sai cosa sarebbe successo dopo?>> Annuii ancora, chinando il capo: avevo già letto sul giornale di donne raggirate da uomini all'apparenza innocui e dei loro cadaveri gettati nel fiume, e so bene che al mondo esistono tanti mostri. Ma davvero per scacciarli non c'è altra scelta che essere come loro? <<Ti ringrazio, Levi>>-sussurrai.
Nessuna risposta. In fine tra noi calò il silenzio della notte, spezzato soltanto, di tanto in tanto, dal rumore delle ruote quando inciampavano in un sasso o una pietra. Mi strinsi nella coperta di lana che mi aveva procurato.
<<Quella taverna, è lì che l'hai presa?>>-chiesi, indicando con il mento la sua sacca. Il soldato annuì.
<<Ti ho preso anche dei vestiti. Andiamo a casa mia e poi partiamo>> Stavolta fui io ad annuire.
<<Mi dici come mai un soldato del Corpo di ricerca>>-iniziai a dire, ricordandomi della disapprovazione di mio padre a tavola verso la seguente legione dell'esercito-<<se ne va in giro tutto solo a fare l'esploratore?>>-conclusi la domanda che avrei voluto porgli dall'inizio della nostra conoscenza. Poi, mi resi conto che, invece, non sapevo assolutamente nulla su chi mi stava di fronte.
<<Come mai lo fa anche una ragazzetta che non ha mai visto una pistola?>> Touché. Di nuovo silenzio.
<<Forza, scendiamo>>-ordinò d'un tratto il corvino, volando giù dal carretto. Io feci lo stesso. A terra, lo guardammo per un po' proseguire lento, molto lento, per la sua strada.
<<Comunque puoi chiamarmi Levi>> Sussultai e presi a guardarlo. Dopo averlo perso di vista, il pescatore sparì nel buio con il suo carico. <<Sono Levi, è il mio nome>>-ripeté, forse un po' scocciato: io ero felicissima! <<Piacere Levi, io sono Hanji, Hanji>>-stavo per dire il mio cognome, mi interruppi subito-<<Hanji e? Hanji e basta, perché tu mi hai detto solo il nome, quindi va bene così,
giusto?>>
Levi -finalmente conoscevo il suo nome- inarcò un sopracciglio e congiunse le braccia. Sbaglio, o a quel punto mi rivolse quasi un sorriso? Sicuramente sbaglio. O forse no? Ero troppo entusiasta per avere ricordi nitidi e infallibili di quel momento. So solo che avevo tanta gioia nel cuore. E ancora non sapevo dove mi avrebbe portato quel nome, a cosa. Non sapevo che sarebbe stato un punto di riferimento, una consolazione nei momenti bui, una dannazione in quelli buoni; che, nel bene e nel male, sarebbe stato tutto, troppo a volte. Che l'avrei pronunciato da sveglia e da dormiente, perfino in dormiveglia. In quel momento ero solo felice, e iniziai a camminare senza sapere dove andassi. Dopotutto, non ero più la principessa Hanji. Non indossavo i suoi vestiti, non abitavo nel suo castello. Ero soltanto lei, Hanji. Hanji e basta, almeno per Levi: mi sentivo come se fossi la protagonista di una nuova vita.
<<Hanji, per di qua>>-il corvino mi indicò con la mano la strada opposta a quella che avevo imboccato io.
<<Oh sì, si scusa>>-mi scusai, mentre mi grattavo la nuca dall'imbarazzo, poi presi a seguirlo: quanto mi era piaciuto che mi avesse chiamato per nome? La prima volta non si scorda mai, del resto, giusto?

Hanji.

Levi.

Hanji e Levi, Levi e Hanji: gran bella accoppiata di suoni!

Al castello, tutti mi chiamavano principessa o signorina. Quella sera, invece, ero solo Hanji. Una persona completamente nuova, senza un passato, pronta per una grande avventura: prima avevo una storia alle spalle, dei doveri. In quel momento vedevo soltanto ciò che mi stava davanti. Eppure, ignoravo che non si può ambire al futuro, non avendo vissuto prima alcun passato. Così quello venne presto a cercarmi.

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