14. Il ritorno degli eroi

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Un fresco venticello soffiava proprio nella nostra direzione. A quanto pareva, gli stavamo andando contro. O, forse, era soltanto l'impressione, dato che il cavallo sulla cui schiena eravamo seduti correva rapidissimamente, spostando l'aria in continuazione; quasi a voler creare una sorta di varco invisibile da attraversare.
Era, oramai da tempo, calata la notte sul mondo esterno. Dei giganti non scorgevamo nemmeno l'ombra e ne fuori appagata.
Noi, intanto, non osavamo rivolgerci parola alcuna. Per quella volta, ci limitammo ad andare su e giù, costretti ad assecondare la corsa dell'animale, abbandonati all'unico suono che ci era possibile udire, prodotto dagli zoccoli che sbattevano contro il terreno: da quando il soldato l'aveva richiamato fischiando per permetterci di salirci sopra, non avevo mai visto quella bestia ferma. Ci aveva raggiunti in un solo istante, e aveva atteso che fossimo scesi dall'albero per portarci in groppa.
Era davvero veloce, e affascinante al tempo stesso. Anzi, al contrario del padrone, quell'animale, con il suo manto scuro e la lunga criniera nera, era l'eleganza fatta carne.
Risi un poco, quando scorsi della somiglianza tra i miei due compagni di viaggio.
"Per raggiungere l'oceano, dovremmo proseguire di villaggio in villaggio e fermarci soltanto per riposare la notte."
Dimmi qualcosa che non so, pensai.
"Tantissime persone hanno scelto di vivere all'esterno delle mura..."-continuò il soldato, rompendo finalmente il ghiaccio, mentre io non riuscivo a credere a quante volte avessi già sentito quelle parole da mio padre, con l'aggiunta di un ti pare possibile, Hanji-chan? Sono matti.
Intanto, con le braccia cingevo il suo petto per non cadere.
"Potremmo approfittare dei servizi che dispone quella gente e sfruttare la loro ospitalità. Ma dovremmo comunque vivere in solitaria e arrangiarci. Ci sono persone che non credono in queste cose e che sono molto scettiche su quello che noi stiamo per intraprendere"-propose il soldato, con voce flemmatica. Intanto, l'ultima parte della sua spiegazione mi fece riflettere: immediatamente, mi venne in mente la mia famiglia.
"Se è così, perché siamo diretti alle mura?"-osai chiedere. Mi pentii di averlo fatto, soltanto quando vidi che il mio compagno esitare e subito dopo sbuffare sonoramente.
"Non ti si può nascondere niente, eh?"
Fu difficilissimo per me, allora, tacere un in realtà, no.
"Rientreremo in paese per prendere tutto il necessario per partire. Tu hai bisogno di armi."-mi spiegò, e i miei occhi si schiusero attoniti.
"Esattamente."-confermò quanto detto prima, come se, nonostante mi desse le spalle, i suoi occhi fossero riusciti a inquadrare la mia espressione; un misto di sorpresa e smarrimento.
"E spero che non ti dispiaccia mentire, perché ti spaccerai per un soldato."-continuò il corvino, per poi concludere pacato: mentire? Non era affatto quello il problema, pensai, controllando con una mano se il libro di Ayano fosse al suo posto nel sacco che impediva al mio petto di fare l'amore con la schiena del corvino.

~

Il mio compagno il lasciapassare ce lo aveva e l'aveva sfruttato. Anzi, lui stesso era qualcosa di cui avere paura e a cui non era possibile opporsi. Perciò fu facile, per noi, entrare all'interno delle mura senza che alcun soldato ebbe il coraggio di domandarci qualcosa. Magari, il perché della nostra avventura nel mondo esterno. Infatti, quegli uomini si limitarono a scrutarci per bene da capo a piedi, mentre il cancello in ferro si chiudeva alle nostre spalle e altri lasciavano andare man mano la corda che lo sosteneva per mantenerlo aperto, imbracciata per garantirci l'accesso.
Realizzai ciò che era successo realmente, soltanto dopo essermi imbattuta in qualcosa a cui non avrei mai voluto assistere: l'odore di carne putrefatta mi diede immediatamente la nausea. E riconoscere che quello strano puzzo non apparteneva al solito cibo del mercato andato a male per la crisi crescente, ma a carne umana come quella di cui io stessa ero fatta fu sconvolgente: ciò che avevo sempre appreso da poche righe sul giornale che mio padre abbandonava sempre sulla sua poltrona, dopo aver imprecato per le spese pagate a proposito, si stava consumando davanti ai miei occhi.
Ammassi di cadaveri coperti da teli bianchi macchiati dal sangue su alcuni punti, come fossero oggetti impacchettati a dovere perché da consegnare, giacevano immobili, accatastati l'uno sopra l'altro su alcuni carretti di legno, ciascuno trascinati da uomini senza un occhio o con i denti mancanti, la testa bendata.
I cavalli, stanchi e incapaci persino di portare sulla schiena una sola persona, strusciavano gli zoccoli sul terriccio, rispondendo ai comandi di chi li tirava per il muso. In una fila disordinata e improvvisata, uomini con la gobba sorretti da stampelle e donne senza braccia, alcune completamente calve, avevano oramai formato una specie di processione al buio. Così, i dettagli erano visibili alla sola luce delle mille fiaccole di chi era venuto ad assistere al ritorno degli eroi per lanciargli gli avanzi della cena o, peggio ancora, una vecchia sedia senza gambe.
Ci mantenemmo dietro di loro per non dare all'occhio, ma non avevamo nulla a che fare con quelle bestie da macello. Poi, a testa bassa, ci facemmo spazio tra la folla che, con le mani a imbuto attorno alle guance gridava insulti.
Su una cassa che si reggeva a malapena, due bimbi con gli occhi luccicanti iniziarono con l'applaudire, poi terminarono con l'imitare il resto degli spettatori e gli occhi si spensero come le fiamme dei lampioni al lato della strada per il vento. Ma quelle di rabbia nello sguardo dei più anziani erano ancora vive, nonostante il freddo.
Anche il corvino sembrava nervoso quando raggiungemmo finalmente un punto meno gremito di gente in cui potersi fermare un attimo a respirare, le palpebre socchiuse e il sopracciglio destro inarcato. Formulai di pancia una frase e stavo per porgergliela, ma la mia domanda morì in bocca così com'era nata, che il soldato si aggrappò al mio polso e riprese a strattonarmi in avanti per chissà quale luogo:

Perché hai lasciato il corpo di ricerca?

~•~

Camminammo per un po' a passo svelto. A furia di calpestare le pietre incassate malamente nel cemento della strada, i piedi iniziarono a farmi male. <<Siamo arrivati>>-mi informò il corvino e io finalmente alzai lo sguardo -mi aveva detto di tenerlo basso- su una casupola che, a giudicare da un cartello scritto a mano all'ingresso che faceva da insegna, doveva essere un locale. Catturai col naso uno strano odore, pungente: mi accorsi quasi subito che era vino. Non un locale qualsiasi, una taverna intuii e poi mi chiesi cosa ci facemmo in quel posto. Riproposi la stessa domanda a voce alta.

<<Te l'ho detto. Ci servono armi>>-spiegò lui, ma io ancora non capivo il nesso tra ubriaconi e soldati. Prima che potessi esporre i miei dubbi, tuttavia, il soldato si era già allontanato, in direzione della casupola.
<<Aspetta qui e non parlare con nessuno>>-mi disse senza nemmeno voltarsi, alzando un braccio come a volermi salutare.

Divertente pensai, mente guardandomi attorno non vedevo una sola anima, neanche quella di un gatto randagio di strada. Evidentemente, non guardai bene.

<<Cosa fa una signorina bella come te tutta sola, dolcezza?>>-mi chiese qualcuno, sopraggiungendo alle mie spalle. E il mio cuore iniziò a tremare.

L'amore non ha buone maniere Where stories live. Discover now