4. La curiosità non inganna

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Due aggiornamenti in una sola volta, perché il libro è lungo, e ho deciso di dividere le situazioni in più capitoli, in modo da non crearne alcuni così lunghi e impegnativi da leggere.
Ad ogni modo, spero che la storia di questa Hanji alternativa vi stia piacendo, anche se sono certa di sapere a cosa state pensando: dov'è Levi? Arriverà presto, credetemi. E per questo, aggiornerò con più assiduità. Solo, devo sapere se la storia sta piacendo, per continuare. Grazie di tutto!

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Ero appena uscita da una piacevole, quasi piccante, discussione. Una di quelle fin troppo solite e prevedibili, alla mia età: non riuscivo a credere che mi sarei sposata, di lì a poco. Proprio non avrei mai immaginato d ricevere una simile notizia. E da mio padre, poi.
Quella notte, dunque, la passai in preda agli incubi che logorano gli innamorati. Non riuscivo a dormire, perciò decisi di prendere una boccata d'aria. Approfittai del fatto che le guardie erano in dormiveglia, data l'ora. Ma per uscire in giardino, vedere gli arbusti in fiore curati da me e Atsumichi e tranquillizzarmi, dovevo, per forza, superare la camere da letto di Arisu e di mio padre. Intravidi la loro porta, e in punta di piedi ero decisa a superarla velocemente come tutte le altre. Ma non riuscii ad ignorare il discorso che, a bassa voce, si stava consumando in quelle quattro mura.
Scostata di poco la porta, in modo da non far rumore e che nessuno avesse potuto far caso ad un simile cauto movimento, mi servii della piccola apertura creata e feci in modo di farmela bastare, per osservare ciò che stava accadendo nella stanza da letto dei miei genitori. Osservai la scena che mi si presentava davanti, tranquilla: non era una novità vedere mio padre tra le braccia della mia matrigna, e lei stringerselo al petto da dietro. L'immagine che i miei occhi catturarono un attimo dopo, invece, mi diede molto più da pensare.
Quasi trasalii nel vedere mio padre che, con un gesto effimero e istintivo, si liberò della presa della castana, la quale rimase incredula dinanzi a tale comportamento del marito. 
In seguito, riuscii a notare di poco il corpo del re appoggiato, appena, all'estremità del materasso: conoscevo l'espressione pensosa che intravedevo dalla minuscola fessura creata, dalla quale i miei sensi tentavano di farsi strada nell'aria di quella stessa stanza, per comprendere cosa vi stesse accadendo. E la posizione scomposta e poco graziosa assunta da mio padre poteva voler dire una cosa soltanto: era preoccupato.
"Qual è il problema, caro?"-vidi Arisu avvicinarsi al punto esatto in cui il re era seduto, e prendere tra le mani il suo viso, prima chino a terra, per sollevarlo, affinché gli occhi di mio padre potessero immergersi nei propri. Non c'era ombra di dubbio: voleva stregarlo con la sua abilità nella finzione; voleva mentirgli. Ma mentirgli su cosa?
E immersa nei miei pensieri, sorrisi solo quando mi accorsi che mio padre si era già liberato delle mani di sua moglie, in ginocchio ai piedi del letto, dinanzi alle sue gambe. Poi, il re prese a guardare in un'altra direzione. Forse, per sfuggire allo sguardo manipolatore della donna al suo fianco.
Non riuscivo più a vedere i suoi occhi, e sicuramente fu meglio così: se li avessi osservati per bene, avrei capito tutto, senza essere costretta a rimanere ancora in quella posizione ad origliare.
"Come abbiamo potuto fare una cosa ad Hanji?"-sussurrò il re, ad un tratto, ma io riuscii a sentire ugualmente. Ed egli ripeté tali parole più volte. E quando scorsi il mio nome tra tutti i termini utilizzati, il sorriso di prima si trasformò in una di quelle espressioni che sovrastano i visi di chi non capisce; o di coloro che sono sorpresi, increduli. La stessa che assume il volto di chi ha appena visto un fantasma, e ne è terrorizzato. Perché sì, avevo paura di quando mio padre faceva il mio nome, davanti a quella strega.
"È per il suo bene, tesoro. Lo sai anche tu, sei solo un po' stanco. È meglio che ti riposi"-le parole finali di Arisu vennero pronunciate da lei con una certa malizia in più. Fino a quando non vidi la donna posizionarsi sopra le ginocchia di mio padre, e costringerlo a sdraiarsi sul letto. Di scatto, chiusi la porta. Ovviamente, non feci alcun rumore. E proseguii nel mio cammino per raggiungere il giardino, ancora più stranita di prima: non avrei mai immaginato che si dicessero certe cose su di me, alle mie spalle. E se avessi saputo prima che persino mio padre mi considerava una ribelle, e che avrebbe fatto di tutto per liberarsi della mia curiosità, allora avrei cercato di cambiare. E questo perché lo amavo; lo amavo con tutta me stessa.
Lui, invece, voleva soltanto che io lo abbandonassi. E lo abbandonai davvero. Ma, quella volta, ero stata io ad averlo deciso.
E l'avevo fatto, perché tutti mi avevano ingannata. Tutti, meno che la mia voglia di sapere e di conoscere: non ero fatta per vivere in una gabbia. E quella notte mi mancava l'aria, non perché ero innamorata; semplicemente, stavo iniziando a sentire il bisogno della libertà che meritavo.

L'amore non ha buone maniere Où les histoires vivent. Découvrez maintenant