11. Equivoci utili

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Scusate l'immenso ritardo, ma ho avuto problemi con la connessione.
Per farmi perdonare, ho scritto un capitolo un po' più lungo del solito.
Buona lettura!

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In una situazione meno caotica, una normale fanciulla della mia età, in preda agli ormoni e alle fantasie tipiche dell'adolescenza, nel vedersi afferrare con prepotenza e trascinarsi su un albero da un giovane a dorso nudo, sarebbe svenuta, o si sarebbe ritrovata dinanzi a quel bel tipo con gli occhi lucidi, le guance arrossate e la bocca aperta; e con tutto il resto che continuava ad andare a fuoco.
Ma il gigante che voleva divorarci mi distolse da tutto ciò.
E l'impatto con il corpo massiccio del corvino che, dopo avermi urlato contro di fare attenzione, si lanciò su di me e, afferrandomi per la vita, riuscì a prendermi di peso e a trasportarmi su uno dei tanti alberi che si innalzavano accanto al piccolo fiume, non mi fece alcun effetto; o, almeno, non provocò nessuno dei brividi che mi percorsero la schiena. Quelli, infatti, erano guidati dalla paura che aveva oramai invaso il mio corpo.
E soltanto quando fui in grado di realizzare per bene la situazione che avevo superato e il pericolo che avevo scampato grazie all'intervento del soldato, trovai il coraggio, ancora tremante, di scostare di poco foglie e rami che andavano a costituire l'ampio manto della pianta sulla quale sedevamo vicini io e il corvino, e di sporgere il mio sguardo verso il suolo.
Mi ritirai trasalendo dietro la chioma dell'albero e feci per chiuderla, come si fa con le tende in casa, quando inquadrai il gigante che ci aveva attaccati dinanzi al ruscello. Quel mostro stringeva tra le braccia il tronco dell'alta pianta scelta dal soldato, e cercava di spingersi per arrivare fino in cima. Dove ad attenderlo c'eravamo noi; un gran bello spuntino, dati i chili di troppo che avevo racimolato in tutti gli anni vissuti tra il lusso e l'esagerazione dei banchetti voluti dal re.
E rimasi così terrorizzata dall'incontro dei suoi occhi con i miei, che, sobbalzando, mi ritrovai, non so neanche io come, tra le braccia del mio salvatore, che intanto osservava i miei movimenti tranquillo; come se certe cose costituissero la sua routine quotidiana, mentre io non avevo mai assistito ad un fatto del genere.
"Volevi morire, per caso?"-sentii chiedermi, mentre la mia testa era ancora appoggiata al petto del soldato. Gli occhi erano serrati, ancora increduli per l'accaduto. Il mio naso, schiacciato contro la pelle del giovane, riusciva a percepire un'odore nuovo, e non troppo buono.
"Sciocca di una ragazzina."-continuò il corvino, per poi allontanarmi non troppo scortesemente con un braccio. E mi resi conto di aver vissuto da vicino quel corpo così forte, soltanto quando notai che, nonostante egli mi aveva scostata, io gli ero ancora così fastidiosamente vicino.
"S-scusa."-riuscii a sussurrare con le guance rosse, e gli occhi che si socchiusero immediatamente per la vergogna. Poi, alzai lo sguardo e presi nuovamente a guardare il soldato. Quando i nostri occhi si scontrarono, fui decisamente imbarazzata del fatto che egli non aveva ancora smesso di squadrarmi da capo a piedi con una noncuranza assurda e sospetta; quasi finta e bugiarda.
Ad un certo punto, lo sentii emettere un verso annoiato, mentre si metteva in piedi sul ramo su cui mi aveva portata tutto da solo.
"Guarda che saresti morta, se non ci fossi stato io."-disse spavaldo, con lo sguardo rivolto verso il basso. Intanto, il gigante sotto di noi produceva degli strani versi, come a voler minacciarci. Eppure, il giovane accanto a me non sembrava affatto aver paura e voglia di andarsene.
"Ti trovi nel pericoloso mondo esterno, ma non indossi gli indumenti di un soldato, né porti con te delle armi. Ti muovi con una certa disinvoltura durante il giorno, quando i giganti vagano per queste terre, ma non sei in grado di combattere."-aggiunse il corvino, quasi innervosito del mio comportamento, continuando a non muoversi e a non volgere lo sguardo nella mia direzione. Fino a che qualcosa non gli fece cambiare idea, e prese a fissarmi con sguardo glaciale e distaccato: così poca era la distanza che, effettivamente, separava l'uno dall'altra; così lontani eravamo, in realtà.
Due sconosciuti, che ancora per poco sarebbero rimasti tali.
"Dimmi, cosa ci fa una bambina come te, qui?"-continuò, mentre il tono della sua voce si faceva sempre più alto; come se volesse sgridarmi. Io, intanto, ad una simile domanda, proferita con così tanta violenza, arrancai.
E, in poco tempo, nacque uno strano e terrificante silenzio, spezzato soltanto, qualche volta, dalle grida disumane dei giganti che si erano avvicinati al tronco dell'albero su cui stavo perdendo la mia dignità, dinanzi a quella del soldato.
"Fammi indovinare."-disse, ad un tratto, il corvino. Poi, esitò nel continuare. E aiutandosi con il piede, lanciò in terra un sassolino.
La piccola pietra calciata colpì uno dei giganti presenti sotto di noi, che allo schianto rispose con un movimento istintivo e ritrasse la parte urtata; come se davvero qualcosa di così piccolo gli avesse provocato del dolore.
E a seguito di un tale comportamento io non riuscii a trattenere una debole risata, che attirò ancora una volta l'attenzione del soldato su di me.
"Calmati pure. Vedi, non dovresti parlare così ad una principessa."-sussurrai, interrompendo il mio interlocutore e continuando a godermi lo spettacolo sotto i nostri piedi: quando erano strane e intriganti quelle creature? Viste da lontano, non facevano nemmeno così paura.
Ad un certo punto, alzai vittoriosa e sorniona il viso verso il mio compagno e godei nel leggere una briciola di preoccupazione nei suoi occhi. Ma fu soltanto per un momento. Poi, ripresi a farmi spazio con l'immaginazione nel meraviglioso mondo esterno: non avrei voluto lasciarlo, ma presto sarei tornata a casa, perché pensai che, di sicuro, quel soldato, lavorando per mio padre, mi avesse condotta da lui. Del resto, era il suo lavoro chinare il capo dinanzi al re.
Allora, chiusi gli occhi.
Fino a quando un lieve rumore di labbra schiuse mi fece capire che il corvino aveva appena aperto la bocca, per dire qualcosa. Compresi che, per via della mia dichiarazione, sarebbero presto iniziate le smancerie che mi venivano di consueto concesse al palazzo reale.
E rimasi attonita quando non si verificò niente del genere.
"Non prendermi in giro, piccola mocciosa."-proferì tagliente. Sorpresa, cercai di spiegarmi e di risolvere un futuro equivoco. Ma la sua superbia da uomo vissuto mi impedì di aggiungere altro.
"Tu provieni da una famiglia benestante del paese. Ti sei stancata di tutte le premure con cui i tuoi genitori ti trattano ogni giorno, e hai deciso di scappare da casa tua per dimostragli che puoi vivere benissimo anche da sola e che il tuo unico sogno è quello di girovagare libera. Ma la verità è che sei soltanto una ragazzina viziata che non sapeva nemmeno dell'esistenza dei giganti e che non riuscirebbe mai a cavarsela in un mondo pericoloso come questo."-aggiunse, saltellando su un altro ramo, senza guardarmi. In seguito, mi osservò per un solo istante. Un velo di tristezza era evidente nei suoi occhi.
"Una bambina che non capisce l'importanza della vita e dei genitori."-concluse, per poi, servendosi dell'imbracatura legata ai fianchi, lanciarsi in aria e scagliarsi contro i giganti che avevamo attirato, facendone fuori parecchi con l'aiuto delle lame che stringeva nelle mani.
I miei occhi si spalancarono dinanzi ad una tale forza. Fino a quando non si illuminarono nel comprendere che, grazie all'orgoglio del soldato, avrei avuto un'altra possibilità di scoprire il mondo esterno.
L'ennesima, l'ultima.
Intanto, a testa china, dopo qualche minuto, quella specie di assassino era già atterrato sul ramo del nostro albero; pronto a misurarsi nuovamente con me.

L'amore non ha buone maniere Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora