6. Confusione e convinzioni

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"Hanji, parlo del matrimonio! Te ne sei dimenticata che è stata una tua idea?"-immersa in mille pensieri, la voce di Erwin mi riportò alla realtà: una mia idea? Mio padre mi parlò di una sua iniziativa.
Io, invece, non gli dissi nulla a riguardo.
In fondo, sono una all'antica: il ragazzo deve fare il primo passo; è la legge per me. E nonostante Erwin mi piacesse tanto, non sarei mai riuscita a trovare il coraggio di confessare tale verità a qualcuno. E per di più a mio padre.
"Sei testarda quando vuoi, ma non dai troppo peso alle cose meno importanti per te, vero?-ammise, ad un tratto, il soldato, scrutando la mia espressione perplessa e lasciandosi sfuggire una risata. Una di quelle dolci e deboli, delicate, che adoravo; ma, in una situazione del genere, nemmeno quel verso mi fece alcun effetto: passare del tempo con Erwin non era mai stato così difficile per me.
Per la prima volta, mi sentivo nel posto sbagliato; non mi era mai capitato di sentire il bisogno di allontanarmi da lui: quel giovane mi dava sicurezza. Eppure, quella volta, le sue parole mi ferirono: sarò anche testarda, ma non avrei mai potuto dimenticare qualcosa di importante; e se avessi chiesto a mio padre il permesso di sposare un uomo me lo sarei ricordato di certo.
"Non importa, sai? Smemorata o no, mi piaci tantissimo."-continuò il soldato, approfittando del mio smarrimento emotivo e riempendo il silenzio da me creato. Ma nemmeno quella confessione mi fece alcun effetto: il mio cuore non batteva più come prima. Di certo, non ero arrabbiata. Ma non ero neanche felice.
Ero solo...insicura.
Fino a quando non capii ogni cosa, ricordando la chiacchierata tra i miei genitori la notte precedente. Ero veramente sconvolta: volevano liberarsi di me; mio padre voleva davvero liberarsi di me.
Capii immediatamente che avrei perso ogni cosa, se avessi assecondato la sua decisione. Non riuscii a comprendere come, ma pensai che, se mi fossi sposata, Arisu ce l'avrebbe fatta a togliermi di torno, per impadronirsi di tutti i miei averi, del mio posto nella vita del re; di mio padre stesso. Ecco, perché quegli apprezzamenti sulla famiglia di Erwin: volevano cedermi a loro? Avrei perso il mio ruolo da regina per sempre, in quel modo.
Preoccupata e distratta da tutto il resto, non mi accorsi subito di ciò che stava succedendo, e della scelta del biondo di avvicinarsi; non mi resi nemmeno conto che il mio naso e quello del soldato potevano persino sfiorarsi. Eppure, egli non si limitò a guardarmi da così vicino. E dopo avermi analizzata per bene, si avvicinò alla mia guancia con la bocca, lasciandovi un bacio sfuggente, e facendomi trasalire e irrigidire; riportandomi finalmente alla normalità.
"D'ora in poi, penserò io a proteggerti."-mi sussurrò, infine, all'orecchio, conquistandone una parte tra i denti. E fu nel preciso momento in cui il soldato posò una delle sue possenti mani sulla parte superiore della coscia più vicina alla sua gamba, che capii quanto mi avrebbe fatto male, anziché protetto; fu proprio in quell'istante che il desiderio di sfuggire dalle grinfie di qualcuno che, in realtà, non avevo mai amato, e da un mondo in cui avevo smesso di vivere tempo fa, ardeva sempre di più nel petto e nel cuore, mentre gli occhi si facevano sempre più umidi. Mentre la vista del soldato sempre meno nitida: le decisioni che riguardavano la mia via spettavano sempre a coloro che non ne facevano parte; ero sempre di altri, mai mia.
Pensai a cosa mi era rimasto da fare, mentre Erwin mi faceva sempre più sua, stringendomi tra le sue possenti braccia e raccogliendo tra le labbra porzioni della mia pelle.
All'improvviso, si mise a piovere.
Avevo sempre temuto la pioggia per paura che potesse rovinare ogni cosa; un momento, un incontro. Invece, quel giorno, essa si dimostrò l'unica mia vera amica, un'aiutante, offrendomi la giusta scusa per allontanarmi dal soldato e rifugiarmi in casa. Mi permise, perfino, di piangere, senza che nessuno arrivasse a distinguere lacrime e gocce di pioggia.

~

Appena tornati al palazzo, non diedi nemmeno il tempo ad Atsumichi di salutarmi, che lo trascinai con una scusa qualsiasi nella mia stanza.
"Principessa Hanji, qual è il problema?"-chiese il giardiniere un po' preoccupato, un po' sorpreso per la tanta fretta; non per la poca cautela.
Chiusa la porta della camera, potei lasciare che le lacrime scorressero liberamente dai miei occhi e mi rigassero il viso: riuscii a trattenermi davanti a quei traditori. Ma proprio non ce la facevo a mentire al mio amico, e mi gettai tra le sue braccia, senza farmi troppi problemi. E, nonostante la distanza che ci separava, l'atterraggio sul petto di Astumichi si rivelò più morbido di quanto pensassi: tutto merito del suo pancione!
"Principessa, cosa è successo? Mi dica pure, sistemeremo tutto."-disse lui, prendendo ad accarezzarmi il capo, affogato nel pezzo di stoffa rattoppato, sporco e ricucito in alcune parti che lui chiamava maglia. A quelle sue parole, presi coraggio e gli domandai qualcosa a cui avevo pensato per tutto il viaggio di ritorno: avevo bisogno del giardiniere, per realizzare il mio piano; dell'unica persona che credeva in me.
"Ti spiegherò tutto, Atsumichi."-incominciai a parlare, sollevando la testa e guardando l'uomo dritto negli occhi. Ma solo facendolo mi accorsi di aver emesso un suono davvero rauco, e che riuscivo a malapena a balbettare. E sentire la mia voce sempre pimpante e forte ridotta in quel modo mi fece tornare la voglia di piangere. Ma proprio non potevo farlo, in quel momento.
E mentre il mio occhio lasciò cadere l'ennesima lacrima, aprii nuovamente la bocca, impastata dal pianto.
"Però, devi promettermi che mi aiuterai."-dissi, e Atsumichi annuì senza mostrare un briciolo di insicurezza.
"Sbaglio, o una volta mi parlasti di una tua nipote? Mi dissi che mi somigliava ai limiti dell'assurdo."-continuai, mentre nella stanza in cui ci trovavamo regnava un triste silenzio che, ogni tanto, veniva spezzato dal tonante rumore dei tuoni. La pioggia, intanto, ad ogni mia parola e confessione delle mie intenzioni future diventava sempre più incessante. Ma io, in quel momento, ero al riparo.

L'amore non ha buone maniere Where stories live. Discover now