Prologo

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Non avevo mai visto ciò che, in quel momento, mi si era parato dinanzi. E non avevo mai avuto bisogno di più di due mani, per contare le stelle che sovrastavano l'unico squarcio di cielo che avevo la possibilità di osservare, dalla piccola finestra della mia stanza.
Il terreno sul quale ero caduta, intenta a scappare, era freddo. Ma posso giurare di aver giaciuto su un prato fiorito, anche se era notte, e non riuscivo a vedere nulla con chiarezza, se non il corpo del nemico. Almeno quello era impossibile non vederlo, data la sua grandezza.
La situazione in cui mi trovavo mi faceva paura: non ero mai stata costretta a dover affrontare da sola un pericolo. Ma, ogni qual volta ne avevo bisogno, potevo contare sull'aiuto di una squadra di persone, sempre pronte a soccorrermi, e a curare anche la più piccola ferita. I graffi che avrebbe apportato al mio corpo il gigante che avevo di fronte, invece, si sarebbero mostrati, di sicuro, molto più gravi. Eppure, nessuno li avrebbe scoperti in tempo: ormai, era troppo tardi.
Ed ero così terrorizzata, che non riuscivo nemmeno a urlare, per spezzare il silenzio tombale di una normale notte nel mondo esterno, lontano dai lamenti delle prede ferite e dei familiari che piangevano per la loro perdita. Mai avevo provato così tanta paura in vita mia. O, forse, una volta, era successa una cosa del genere.
Sdraiata com'era sul letto vuoto e triste, mia madre non mi rassicurava per niente. Ed era la prima volta che, scorgendo il suo volto e il suo sorriso, allora malato, ella non riusciva a farmi sentire al sicuro.
"Andrà tutto bene, Hanji. Guarirò presto, bambina mia. Andrà tutto bene."-continuava a ripetermi. Ma sapevo che non avrebbe mai potuto tener fede a quelle promesse; che almeno quella volta, quella soltanto, non sarebbe riuscita a farlo.
E la sua morte fu il momento più triste di tutta la mia vita.
Tuttavia, anche se non avrei mai pensato di ammettere una cosa simile, quello che stavo vivendo in quel momento riusciva a battere anche i giorni che seguirono la scomparsa di mia madre e quelli prima ancora. A dire la verità, i feroci lamenti dei giganti là fuori sembravano assomigliare ai colpi di tosse con cui mia madre spezzava la tranquillità e il silenzio del castello. E il corpo privo di pelle di quelle mostruose creature mi ricordava un po' il suo che, pian piano, si assottigliò sempre di più. Fino a scomparire del tutto.
E pensare che la morte ha sempre fatto parte della mia vita. Ciò nonostante, solo allora che la vidi chiaramente con i miei occhi, compresi che essa esisteva realmente. E che faceva paura; tanta paura: non avevo mai avuto così tanta paura in tutta la mia vita.
Ma non avrei mai potuto immaginare che tutto il dolore sopportato sino a quell'istante mi avrebbe portato alla felicità. E che tutti i miei sacrifici e ciò che credevo uno sbaglio mi avrebbero mostrato la strada che porta dritta all'amore.
Quando vidi quegli occhi neri scontrarsi bruscamente con i miei, però, la loro bellezza mi fece intuire qualcosa che avrei compreso, appieno, soltanto anni dopo.
E riconosciuto il simbolo riportato sulla mantella verde che ricopriva la sua schiena, avevo finalmente capito quanto belle fossero le ali della libertà; avevo finalmente capito di essere salva. E che lo sarei stata per sempre, al suo fianco.

L'amore non ha buone maniere Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora