7. Finalmente libera

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Avrei dovuto pubblicare ieri, ma ho avuto un piccolo imprevisto.
È prossima la comparsa di qualcuno: chissà di chi! Buona lettura.

~

I miei piedi che toccavano terra producevano il solo suono in grado di spezzare il silenzio della notte.
Aveva smesso di piovere. E appena ne fui sicura, abbandonai la finestra, dalla quale aspettavo che ciò accadesse, e superai ogni corridoio con facilità, per raggiungere l'uscita del castello. Avevo scelto di indossare il vestito più malridotto che possedevo; ricordo di averne perfino strappato una parte. E quella decisione lo faceva sembrare davvero uno degli abiti con cui le donne normali andavano a fare la spesa al mercato.
Sistemai i capelli sotto un fazzoletto, e lasciai ogni cosa al suo posto in camera.
Quasi piansi nel comprendere che non avrei potuto portarmi dietro tutti i miei scritti, perciò preferii lasciarli ognuno sulla scrivania: non sarei mai riuscita a scegliere tra uno di loro, perché tenevo alle mie fiabe come una madre tiene ai suoi figli. E non si può preferire un figlio ad un altro; è assurdo.
Mi convinsi a portarmi dietro lo stretto indispensabile, quindi nascosi il libro di Ayano in un sacco, assieme a un po' d'acqua e a qualcosa da mettere sotto ai denti, che non sarebbe bastata a sfamare un gatto, e lasciai quell'opprimente gabbia. Solo quando, stremata dalla corsa, la mia pancia prese a brontolare dalla fame, mi accorsi di aver fatto una sciocchezza. Ma, ormai, era troppo tardi per tornare indietro.

"Mi somiglia davvero, sai Atsumichi?"-dissi incredula, osservando la donna che il giardiniere aveva chiamato, proprio come gli avevo ordinato. Lo zio era riuscito a farla entrare di nascosto al castello, e quando entrambi raggiunsero la camera nella quale mi stavo preparando, asciugando le mie lacrime, rimasi stupefatta nel trovarmi davanti l'esatta copia del mio aspetto.
Koi era un po' più alta di me, e di sicuro più slanciata e posata; ma in questo mi superavano tutte. Eppure, i tratti del viso poco marcati, le lentiggini che si vedevano a malapena, le gote paffute e la chioma rigonfia e disordinata che giaceva sulla testa rotonda la facevano assomigliare a me. Avevamo la stessa età, ma la sua voce era molto più dolce e bassa della mia; facevo fatica a sentirla, quando conversavamo sul da farsi.
Dunque, le raccomandai di urlare, e le insegnai a farlo. Le dissi che era necessario parlare; e tanto, pure. Le consigliai di sfoderare qualche atteggiamento un po' fuori di testa, ogni tanto, e la pregai di ridere nei momenti meno opportuni. Le feci dimenticare l'eleganza con cui aiutava la famiglia povera in casa e con il bestiame, e le confessai che il mio più grande difetto era una curiosità impertinente. Le promisi che sarei tornata presto a riprendermi ciò che era mio, ma le mentii: non sarei mai tornata al castello e dalla mia famiglia. Questo, per puro orgoglio.
"Grazie di tutto, Atsumichi."-dissi, una volta chiusa la porta della stanza, mentre potei osservare Koi sistemare le sue cose negli armadi.
"Tornate più forte di prima, principessa."-mi raccomandò il giardiniere, scompigliandomi di poco i capelli come faceva quando ero più piccola. Poi, posò la sua mano sulla mia spalla.
"E se non tornerete più, vi auguro di vivere felice dovunque andrete. Con chiunque sarete."-le parole di Atsumichi mi toccarono il cuore: aveva capito tutto. Allora, piansi, e solo dopo aver pianto sul petto del giardiniere, lo lasciai: se avessi saputo che gli avrei recato così tanto disturbo e che avrebbe passato dei guai a causa mia, non avrei mai abbandonato il mio migliore amico in quella situazione.

~

Ero esausta, ma ancora correvo come il vento. Tra le vie ciottolate del paese, illuminate da qualche fioca luce proveniente dalle finestre delle abitazioni circostanti, non vi era nessuno.
Erano passate delle ore, ma non sapevo esattamente da quanto tempo ero in fuga dalla mia famiglia. Semplicemente, ero convinta che avrei dovuto raggiungere il mondo esterno prima dell'alba, altrimenti sarei stata riconosciuta dai passanti. E ripensando al mio obbiettivo, tanto assurdo quanto irraggiungibile, ma importante, correvo e non avevo intenzione di fermarmi. Ma le mie gambe decisero, indipendentemente dalla mia volontà di riposarsi, quando i miei occhi inquadrarono un ammasso di mattoni posizionati in modo da impedirmi di vedere dell'altro.
Assottigliai lo sguardo, poi sorrisi e capii: avevo intravisto quelle che il mondo chiamava mura.
Rimasi un attimo immobile a contemplare ciò che mi separava dal mio grande sogno, e dal pericolo. Poi, ripresi la mia corsa.
E nelle mie pupille dilatate per la meraviglia e la grandezza di quello spettacolo, quelle pietre si potevano rispecchiare. Intanto, ad ogni mio passo, esse diventavano sempre più immense; ad ogni passo, svelavano un po' della loro immensità.
E più mi avvicinavo, più mi convincevo che non avevo mai visto qualcosa di più grande: ecco, cosa mi separava dalla libertà; cosa riusciva a tenermi in gabbia in quel modo.
Ma, presto, avrei vissuto dall'altra parte di quelle mura. Non restava altro che sfuggire ai soldati di guardia e scavalcarle, per essere finalmente libera. Per fortuna, quegli idioti erano talmente ubriachi da non accorgersi di una clandestina. E passai inosservata a quel branco di codardi.
Di lì a poco, invece, ne avrei conosciuto uno totalmente diverso e mille volte più forte: nel buio della notte, con il suo coraggio, egli illuminò prima la mia strada; poi, la mia intera vita.

Raggiunta l'uscita del castello, lanciai uno sguardo effimero a Astumichi, dietro di me. Egli si mise ad analizzare tutto quello che ci circondava, ma non c'era alcun pericolo: le guardie erano addormentate, come avevo previsto. Anch'io me ne ero accertata, osservando i loro visi pallidi e buffi. Il loro russare in modo poco garbato rovinava l'atmosfera, ma non era possibile rimandare il momento: era arrivato il tempo di salutarsi.
"È il momento, Atsumichi. Grazie di tutto, addio."-dissi a bassa voce, sollevando il cappuccio del mantello che il giardiniere mi aveva donato in modo che coprisse la testa, e nascondesse il mio viso.
"Addio, principessa."-fu l'unica cosa che io ebbi il coraggio e la forza di ricordare e custodire nel profondo della mia memoria tra tutte le cose che il giardiniere mi disse e mi augurò.
"Atsumichi, non chiamarmi in quel modo.
Io non sono più una principessa. Io...sono libera, adesso!"-esclamai alla fine del suo discorso, in lacrime: ero felice.
Lo ero davvero.

L'amore non ha buone maniere Onde histórias criam vida. Descubra agora