13. L'accordo per la convivenza

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Mentre quelli del corvino erano spalancati, i miei occhi tornarono frettolosamente a inquadrare il terreno. Intanto, il tempo passava e il cielo continuava a imbrunirsi. Addirittura, sembrava che i giganti sotto di noi stessero perdendo le loro forze.
"Razza di insolente!"-l'urlo del soldato spezzò ad un tratto il silenzio creatosi, dato che persino quei mostri si erano stancati di fare rumore e agitarsi. Mi venne spontaneo sbadigliare, notando il sole sparire e il cielo tingersi di rosa tenue: avevo già sentito parlare del tramonto; ma dal vivo anche il calare della notte era una storia più avvincente da narrare. E credo che, se avessi confessato di sentirmi a casa con uno sconosciuto e in un luogo che non avevo mai visto prima di allora, mi avrebbero dato della matta. Ma quella era la verità più sincera che la mia mente aveva mai elaborato.
"Come osi parlarmi in questo modo?"-il tono di voce del mio salvatore diventava sempre più brusco. Ad ogni parola proferita, nel frattempo, quello si alzava sempre di più, facendo leva sulle ginocchia. Fino a quando non me lo ritrovai in piedi, pronto a impugnare nuovamente una delle sue spade. E a puntarmela contro, dopo avermi attirata a sé.
In quel momento, il mio naso e la punta sottile e affilata di quella lama argentea riuscivano addirittura a sfiorarsi: se solo il corvino sapesse con chi aveva davvero a che fare. Eppure dovetti tacere la mia vera identità per del tempo. Proprio al fine di andare fino in fondo a quella storia; ad un qualcosa che sin dall'inizio volevo che continuasse per sempre.
"Guarda che potrei ucciderti in quattro e quattr'otto, se solo volessi. Se soltanto lo desiderassi davvero, non avrei problemi a farti fuori, senza darti nemmeno il tempo di difenderti o emettere il più effimero grido."
"Ma non vuoi farlo, dico bene? Non ne sei in grado."
"Non sfidarmi, bambina."
"Fai ciò che ti dico, e non finirai nei guai per la tua arroganza."
"Non farò mai ciò che dici. Muori, piuttosto. Fai prima, quattrocchi."-concluse il nostro confronto il soldato, posando l'arma puntatami contro, di sua spontanea volontà.
Io, invece, a seguito di quella confessione, feci spallucce: era davvero quello che voleva? Ciò che un soldato avrebbe voluto?
Era possibile che si fosse arruolato soltanto per proteggere se stesso e costruirsi una situazione economica solida, e che non avesse alcun interesse a salvare vite umane. Ma anche il più crudele assassino, nell'uccidere, prova qualcosa. Anche in un animo buio come le tenebre qualcosa si smuove, nel vedere una persona morire o decidere di farlo.
Sfruttai questa condizione esistenziale a mio vantaggio, e segui il consiglio suggeritomi ironicamente dal corvino.
Mi sporsi troppo e mi lasciai andare in terra, senza opporre resistenza alla gravità che voleva schiacciarmi al suolo: per la prima volta in tutta la mia vita, mi sentii padrona del mio corpo e delle mie decisioni.
Diversi brividi percorsero la mia schiena, e ogni secondo scendevo un po' più giù.
Ormai ansimavo in attesa di toccare il suolo, fino a quando la mia caduta non venne interrotta.
E sorrisi nell'ammettere che, in realtà, mi aspettavo un simile comportamento dal soldato. Sin dall'inizio, infatti, avevo previsto una situazione del genere.
Nel frattempo, la mano del corvino continuava a stringere il mio polso: quell'intreccio fatale si era dimostrato la mia unica salvezza.
"E, sentiamo, dove vorresti andare?"-sentii chiedermi, mentre gli occhi continuavano a fissare il terreno sotto i miei piedi penzolanti. Non so perché certe memorie sfiorarono la mia mente proprio in quel momento, ma allora vennero alla luce nel mio animo migliaia di momenti passati insieme a mia madre, che credevo, sbagliando, di aver completamente rimosso e dimenticato.
Papà amava cacciare. E io e mia madre, nonostante non condividessimo tale passatempo, che portava via al nostro re parecchio tempo libero, lo accompagnavo spesso nelle sue battute di caccia, assieme al resto della corte reale.
Ma restavamo sempre in disparte ad ammirare gli animali dei boschi. E mentivamo a mio padre, dicendo di non vederne alcuno, quando ce lo veniva a chiedere.
Un giorno, uno degli uomini del re ci fece compagnia nella nostra osservazione e rivolse a mia madre uno strano complimento. Tanta era l'ambiguità che quell'effimero messaggio orale celava al suo interno, che mi ci volle una vita intera, per comprendere il significato nascosto tra quelle lettere, sillabe e parole.
"Vostra altezza. Se avessi avuto la fortuna di aver visto l'oceano, le direi che lei le somiglia in tutto, sa? Non l'ho visto, eppure oso immaginare che, in realtà, è proprio come ho detto. L'oceano deve essere bello quasi quanto lo è lei."-proferì quasi a bassa voce, facendo arrossire mia madre. Ricordo ancora com'erano rosse le sue gote e come la voce con cui ringraziò l'uomo era tremante. Un po' più sfocata è nella mia mente la sua immagine e la bellezza che quella figura, a detta di tutti, vantava.
"Voglio vedere l'oceano."-confessai, senza pensarci due volte: stavo già sognando ad occhi aperti, e non vedevo l'ora che il giorno in cui avrei avuto modo di vedere mia madre sarebbe venuto.

L'amore non ha buone maniere Where stories live. Discover now