•Annabeth {Epilogo}

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Finalmente scrivo l'ultimo capitolo di questa storia, che ho protratto per più di un anno, scrivendo raramente e senza una scaletta precisa da seguire.
Ho ricevuto un sacco di apprezzamenti da parte vostra () e spero che questo Epilogo vi soddisfi, nonostante tutto.
Ringrazio tutti, davvero tutti.
Grazie a tutti i Percabeth shippers che mi hanno accompagnato in questo percorso.

<<Bentornato a casa.>> sussurrai a Percy, e lo accompagnai immediatamente sul divano. Aiutarlo a camminare per tre scalinate mi aveva stremata, e probabilmente lui era centro volte più affaticato di me.
Non appena si sedette inspirò profondamente, come se volesse sentire il profumo di casa che gli era mancato nel corso dell'ultimo anno.
Da quel giorno in poi Percy avrebbe vissuto nel mio appartamento, mentre Alexa mi aveva comuniato che molto presto si sarebbe trovata una dimora tutta sua, visto che oramai la minaccia non esisteva più.
Dopo la morte di Luke, Nico aveva sofferto come non mai; il suo cugino più grande, quello con il quale passava più tempo, quello che lo accudiva con amore quando Percy era insieme a me era morto. Percy si era dato ad un silenzio di lutto durato mesi, in cui i medici pensarono avesse avuto un blocco nervoso. Era perfino svenuto quando io e Sally gli comunicammo la notizia, il 4 Maggio, esattamente il giorno successivo alla sua morte.
<<Comodo.>> disse Percy, tastando i cuscini colorati. Lo guardai con fare interrogativo, e lui sorrise. <<Il divano; è comodo. Quello dell'ospedale era di pietra.>> commentò, scuotendo la testa lentamente.
Gli andai vicino a mi inginocchiai davanti a lui, poggiando il mento sulle sue cosce. <<Ora cerca di non fare cazzate o romperti qualcosa, altrimenti ricominceremo tutto dall'inizio.>> gli intimai, conoscendo bene il soggetto. Lui mi lanciò un'espressione tra il colpevole ed il divertito ed alzò le mani in segno di resa.
<<Esattamente quello che volevo sentire.>> dissi con fermezza, e mi alzai per cucinare qualcosa. Avevamo preparato tutto per ogni evenienza, e munito l'appartamento di ogni singolo attrezzo utile a Percy: carrozzine, stampelle, finestre dall'apertura automatica, coperto gli spigoli col lattice, in modo che se Percy fosse caduto non vi si sarebbe fatto male.
Ma solo allora mi resi conto di come dovesse sentirsi Percy vedendo che non gli avevamo dato neanche un po' di fiducia. Non volevo che pensasse questo, ma guardandolo mi resi conto che probabilmente si sentiva trattato come un bambino disabile. In realtà io avevo in lui tutta la fiducia di questo mondo, ma avevamo avuto fin troppi problemi legati alla mia imprudenza: avevo preferito arrivare preparata quella volta.
<<Mi fai un thè?>> mi chiese Percy, sdraiandosi sul divano con le scarpe ancora ai piedi. Se ci fosse stata Alexa a vedere gli stivali di Percy sporchi di terra ben poggiati sul bracciolo del divano bianco avrebbe dato di matto.
<<Subito.>> gli dissi, e ne approfittai per farne una tazza anche per me.
<<Quanto zucchero vuoi?>> domandai al ragazzo, il quale aveva la risposta già pronta. <<Tanto.>>
All'inizio pensai che esagerare con lo zucchero non fosse una buona idea, per lui, ma poi ricordai quanto si fosse sciupato in quell'anno e più d'ospedale e ne misi tre cucchiaini e mezzo. Più dolce di così!
Presi le tazze e gliene porsi una, che lui afferrò prontamente. Accendemmo la televisione e Percy la sincronizzò immediatamente su una gara di nuoto nazionale, mentre sorseggiavamo il the bollente. Prima che la tazza di terracotta fosse vuota, Percy mi fece una domanda: <<I giudici cosa stanno facendo con Thalia?>> ecco, mi ritrovai costretta a parlare dell'argomento più spinoso, che avrei felicemente evitato. Ma, purtroppo, non si poteva evitare. <<Per ora è sotto sorveglianza, ma tra qualche settimana la Corte dovrebbe decidere la sentenza definitiva.>> gli spiegai, mentre le dita iniziarono a bruciarsi in contatto con il coccio incandescente della tazza. Percy sbuffò, e distolse lo sguardo. <<Uccidere Patrik spettava alla polizia, non a lei.>> commentò, scuotendo la testa con rancore. Non sapendo bene cosa dire in una situazione del genere, temporeggiai, finché lui non riaprì bocca: <<Tutto l'affetto che ha provato per Luke in queste ultime settimane avrebbe dovuto provarlo quand'era ancora vivo.>> aveva la voce pacata e bassa, ma allo stesso tempo carica di rabbia repressa. Riuscii a sentire il risentimento dietro quelle parole che, solo all'apparenza, sembravano pacate. Posai la mia tazza sul tavolino davanti al divano e feci lo stesso con la sua. <<Lui aveva passato tutta la sua vita ad aspettarla, e non appena ci abbandona ecco che lei rinsavisce.>> continuò, con lo stesso tono. <<Thalia aveva sempre provato affetto per Luke, Percy; penso che, a modo suo, gliel'abbia anche dimostrato. Purtroppo questa tragedia l'ha accecata, e non è stato l'''affetto'' per Luke a guidare l'omicidio che ha commesso, bensì la voglia incredibile di fargliela pagare.>> dissi, cercando di rattoppare la situazione. Poggiai la testa sulla sua spalla e lui mi cinse la vita con un braccio. <<Non era compito suo farsi giustizia. Non ha fatto altro che rovinarsi la vita, uccidendo Patrik.>> cercò di dire Percy, senza mai guardarmi negli occhi. Io non ci pensai due volte prima di rispondere: <<Anch'io l'avrei fatto per te.>> Percy sobbalzò e finalmente si girò verso di me.
<<Sul serio? Ti saresti rovinata la vita per me?>>
<<Senza battere ciglio; infondo, tu hai rovinato la tua per me.>> replicai, facendo eco a quando, nell'ultimo anno di liceo, Percy mi aveva salvato la vita durante il Solstizio d'Inverno, inimicandosi Patrik e Jerard solo per proteggermi. E se una pallottola l'aveva quasi ucciso, la colpa era di certo mia. Se Percy non mi avesse protetta quella sera, Patrik non avrebbe avuto motivo di sparargli.
<<Sono passati sei anni, quasi sette da quella notte.>> ricordò Percy, con lo sguardo vago di chi si stava perdendo nelle proprie memorie. Sorrisi malinconica. <<Chi l'avrebbe detto che a ventisei anni avrei convissuto con Percy Jackson.>> mormorai, e lui strofinò il naso sulla mia guancia. Stettimo in quella posizione per qualche minuto. <<Wow.>> sospirò Percy. <<Ti rendi conto di quante ne abbiamo passate insieme?>>
Risi, iniziando a ricordare ogni singolo giorno da quando l'avevo visto per la prima volta. <<Diciamo che il tuo approccio non è stato tra i più educati.>> dissi, alzando un sopracciglio divertita. Aveva cercato di ''conquistarmi'' palpandomi il sedere poco prima del suono della campanella. Percy rise. <<Mi credevo macho, non infrangere i miei sogni!>>
<<Oppure quando mettesti il sale nel mio caffè.>>
<<...Oppure quando misi uno spillo sulla tua sedia.>>
<<Idiota, ho ancora la cicatrice!>> gli urlai contro.
<<Oppure quando ti ho accompagnata in classe ogni giorno per mesi, visto che ancora eri debole per la ferita al fianco.>>
<<Ed io poi non ti ho scritto più per anni.>>
<<Stronza.>> mi etichettò, scapigliandomi i capelli.
<<Oppure quando io mi feci castana.>>
<<Ed io non ti ho riconosciuta.>>
<<Neanche io ho riconosciuto te, se proprio dobbiamo essere sinceri.>>
<<E quando ci siamo visti al matrimonio di Piper e Jason.>>
<<Tu eri geloso di Al...>>
<<Beh, tu lo eri di Rachel.>>
<<Non è vero!>> risi, pizzicandogli la guancia.
<<Ti ricordi quando eravamo convinti che insieme non saremmo durati neanche una settimana?>> mi chiese Percy, abbracciandomi ancora più forte. Io sì, ricordavo quel periodo. Un periodo orrendo tra tira e molla e brusche litigate, in cui anche la minima stupidaggine poteva non farci parlare per mesi. Tutti i nostri compagni del liceo erano già sposati, laureati, con figli e con un futuro stabile, mentre noi giocavamo a fare i fidanzatini quindicenni.
<<Invece eccoci qua.>> concluse, e ci baciammo. Già, chi l'avrebbe mai detto.
<<Annabeth.>> mi chiamò, dopo un po'.
<<Sì?>> risposi prontamente, allarmata. Ma quando guardai Percy, non sembrava avere niente di anomalo, anzi, sembrava pensieroso. <<Sai, so che non dovrei mettere i soldi al di sopra di tutto, ma dobbiamo ancora riscuotere i soldi che abbiamo avuto catturando Jerard.>> disse, stringendomi la mano. <<Hai ragione, con tutto quel che è successo non ho avuto il tempo di fare niente.>> mi giustificai, accarezzandomi la nuca con la mano libera. Percy mi disse di stare tranquilla. <<A proposito, a breve io dovrei tornare al lavoro al bar. Non possiamo vivere per sempre con i sold-->>
<<Annabeth.>> mi interruppe di nuovo, con un tono leggermente più incerto. <<C'è una cosa che non ti ho detto.
<<Percy, devo preoccuparmi?!>> sbottai. Lui mi mise le mani sulle spalle, ma mi tranquillizzai vedendo che sembrava felice. Cosa stava tramando?
<<Sai, due settimane fa, mentre tu non c'eri...>> iniziò, un po' impacciato.
<<Sì?>> lo incoraggiai, non sapendo cosa aspettarmi.
<<Si è presentato un uomo, un dirigente Charles Scribner's song.>> disse, allargando ancora di più il suo sorriso. <<La casa editrice?>> domandai, irrigidendomi. Percy annuì entusiasta. <<Esatto. Ha trovato la nostra storia adatta per un Best Seller e mi ha proposto di scrivere un libro.>> confessò, ed io non potei fare a meno di saltare in piedi.
<<O mio dio, un libro tutto tuo!>> urlai, abbracciando Percy. Avevo paura di fargi male stringendolo così forte, ma ero troppo felice per smettere. <<Un libro tutto nostro, vorrai dire. Pensavo fosse scontato che tu mi avresti aiutata.>> cercò di dire Percy, che ricambiò l'abbraccio, seppur con meno intensità. <<Ti rendi conto questo che vuol dire, Annie?>> Scossi la testa.<<Se il libro andrà bene potremo fare tutto, ci prenderemo una mega villa, tu se vorrai ti iscriverai ad Ingegneria o Architettura, poi ci sposeremo e...>>
<<Wow, hai organizzato tutto!>> risi, interrompendolo. L'Università... Non ci potevo credere; il sogno di una vita. Avrei lavorato come architetto, avrei lasciato il bar ed avrei finalmente fatto un lavoro che mi sarebbe piaciuto.
<<Non sai quanto ti amo.>> gli dissi, baciandolo di nuovo.
<<Quant'è vero Iddio ti porterò all'altare.>> mi rispose lui, con un sorriso a trentadue denti.
Chissà se ci sarebbe stati finalmente bei giorni anche per noi, nonostante tutto.

Jason
Gli occhi blu della sorella riflettevano la rabbia pura attraverso lo stretto muro che li divideva. Jason non sapeva cosa provare nei suoi confronti. Rabbia? Sì, certo. Non credeva che sua sorella fosse un'assassina. Pena? Anche, perché da quando Luke era morto Thalia non era stata più la stessa. Ma provava anche dispiacere e rammanico nel rendersi conto che la sua unica sorella, sangue del suo sangue, avrebbe passato i successivi anni, se non tutta la sua vita, dietro le sbarre.
<<Ah, Jason.>> sospirò Thalia, senza dire nient'altro per qualche minuto. Jason sentì la voglia di tirarle l'orecchio per la cazzata da lei commessa.
<<So di aver fatto un distastro.>> iniziò lei, ma Jason non vide alcun dispiacere sul volto di Thalia. Era nell'apatia più totale.
<<So che probabilmente non andrò in paradiso, o che non avrò un futuro una volta uscita da qui, se mai ne uscirò.
Voglio dire, pazienza, me ne farò una ragione. Perché sai che c'è? Ne è valsa la pena. Passerei tutta la vita ed anche tutta l'eternità in carcere pur di risentire ancora una volta le urla e le preghiere di Patrik quando gli puntai la pistola alla tempia. Chiedeva pietà, lui. E mi pregava, mi diceva che mi avrebbe dato tutto quel che volevo in cambio della vita. Allora io gli diedi la mia condizione: "Riporta Luke da me, ed io ti lascerò in vita". Morì urlando, con il terrore negli occhi, proprio come meritava. E non mi pento di quel che ho fatto.>>

Sì, lo so, non è il finale che probabilmente vi aspettavate. Non mi sono neanche soffermata sul futuro della Percabeth, sui loro lavori, sui loro possibili figli; lascio tutto alla vostra immaginazione. E la Thaluke... Sì, mi sento un mostro. Ma sentivo il bisogno di creare qualcosa di diverso, e visto che sono una bestia senza cuore e far morire personaggi è il mio hobby preferito... Scusate.

Ora che questa fanfiction è finalmente conclusa, nel caso io vi stia simpatica o vi piaccia la mia scrittura, vi lascio qui la trama della fanfiction cooscritta da me pubblicata sul profilo di booksaremyikigai . Seguite questa ragazza, è dolcissima e bravissima.
Ecco la trama:
"In the name of love"
Sono passati quindici anni, quindici anni dalla sconfitta di Kiera Cavandesh, la figlia di Atena che inflisse mille dolori ad ogni altro semidio esistente.
Xavier e Morgana sono legati da un profondo affetto, e passano la loro vita tra vecchie polaroid e passeggiate per New York. Quando si ritrovano in questo misterioso Campo, non sanno cosa pensare.
Una scontrosa ragazzina, Helena, si annuncia figlia di Ares, e li introduce in quel nuovo mondo.
Incontreranno centauri, ninfe, altri ragazzi che pensavano di essere normali. C'è una meteoropatica figlia di Zeus, una teatrale figlia di Dioniso, due arroganti e bellissimi figli di Poseidone, un ironico figlio di Ade, una creativa figlia di Afrodite e molti altri.
Tra clangori di spade e lance, rombi di carri, grida e risate, vittorie e sconfitte, sangue e fuoco, ecco che la minaccia di Kiera Cavandesh torna come un incubo del passato. Ma non sarà lei la mietitrice di morti, questa volta.
Le profezie non promettono nulla di buono: morti innocenti, amori irrealizzabili, perdite incolmabili. Chi ne uscirà vincitore, questa volta?
Il Campo si salverà?

Inoltre, c'è un'altra fanfiction Work in Progress, con GaiaZaira
Solo due parole:
Campo. Italia.
Non aggiungo altro!
Non vedo l'ora che possiate leggere anche quest'altra storia. :)

E finisce così.
Vi adoro tutti, grazie per tutto quel che mi avete dato.
Martina

Percabeth•{Amnesia}• ITAWhere stories live. Discover now