INIMMAGINABILE

147 7 0
                                    

Era una calda giornata di fine marzo e l'orologio segnava appena le sei del mattino. Olimpia Tregali era già sveglia e pronta per andare a fare colazione nella sala mensa. Camminava fra la polvere ascoltava il leggero rumore dei sassi sotto i suoi stivali e si sentiva accaldata sotto la pesante divisa che doveva tenere. Mentre si dirigeva alla sala mensa, ascoltava le voci in lontananza dei suoi colleghi che smontavano e di quelli che montavano di guardia. Per non essere ancora le sei, faceva già molto caldo e si prevedeva una giornata torrida. Ma era così il clima dell'Afghanistan e ora che aveva messo finalmente piede in Herat, nella base italiana, si sentiva pronta a una nuova avventura. Era arrivata a bordo dell'aereo militare il C130 già da un mese, ma il suo orologio biologico doveva ancora abituarsi. In realtà doveva abituarsi ancora a un mucchio di cose. Non sopportava la polvere che riusciva a infilarsi ovunque; odiava il clima che passava da troppo freddo a un caldo torrido; odiava lavarsi in quei bagni e odiava non sentire più il suo profumo. Puzzava sempre arrivata alla sera, ma era inevitabile. Non sopportava il cibo, ma questo era qualcosa a cui era già rassegnata dall'inizio; non sopportava il peso del casco sulla testa perché fra i capelli tirati e il sudore arrivava alla sera con un gran mal di testa. Insomma, ogni cosa doveva darle il giusto tempo. Olimpia svolgeva duramente il suo lavoro e cercava di tenersi impegnata più tempo possibile. Non era come l'aveva immaginato ma nonostante tutto, quel luogo aveva un fascino tutto nuovo. Quando era in giro per la perlustrazione del campo, o per supporto di sostenimento di qualcosa in qualche villaggio, sentiva montare dentro una sensazione e un'emozione a cui non sapeva nemmeno dare una giustificazione. Guardava tutto con attenzione cercando di far restare quelle immagini impresse nella propria mente come fotografie. Guardava le case com'erano strutturate, o allestite, e il fatto che era un luogo pieno di povertà in cui le condizioni igieniche erano davvero precarie. Guardava i bambini venirle incontro e quando poteva, donava loro qualcosa da mangiare. C'erano giorni in cui sapeva di essere fondamentale, altri in cui si sentiva solo una nullità e non sapeva cosa fare di fronte agli occhi impauriti della gente che incontrava. Sapeva solo che doveva dare il suo supporto alla Resolute Support.

La Resolute Support aveva il compito di sostenere e assistere le istituzioni afghane. La missione era finalizzata a sostenere il governo afghano, fornendo addestramento, consulenza e assistenza alle attività e alle istituzioni afghane. Dava aiuti di ogni genere alla popolazione: dai vestiti, al cibo e ai farmaci.

L'Afghanistan è un luogo in cui le civiltà sono state represse da un regime che ha fatto di tutto pur di abbattere le credenze del popolo. Già anni indietro, quando ancora il regime talebano aveva messo in ginocchio un'intera civiltà, era stata dura combattere un nemico senza volto; sapere che milioni di soldati avevano perso la vita per una causa del genere, gli faceva onore. Sì, perché quella terra così calda, così torrida, così arida, così piena di disperazione, fame, povertà, aveva bisogno allora e ha bisogno adesso del supporto per poter ancora una volta alzarsi in piedi. Ma non è facile. La gente è diffidente e guarda i soldati in modo diverso, quasi intimidatorio. Altri voltano il volto dall'altro lato e quando s'incontra una donna per strada non la si può guardare nemmeno in viso. Tante volte Olimpia era stata tentata di andare vicino alle donne dei villaggi e chieder loro semplicemente come stavano, ma sapeva bene che la realtà del paese era ben diversa da ciò che pensava lei. Voleva aiutare ed essere d'aiuto per qualcosa che poteva fare la differenza. Olimpia sapeva, come gli altri soldati, che tutti erano lì per lo stesso scopo e per la stessa ragione: volevano aiutare e nel loro piccolo fare la differenza in un luogo in cui il rispetto è uguale a zero e la morte valeva poco.

Olimpia andava dove le veniva ordinato e se poteva fare qualcosa in più per qualcuno non esitava a tirarsi indietro. Era lì per un motivo e avrebbe fatto il necessario per andare avanti ogni giorno. Quando poteva andava nel buncher che le era stato assegnato e solo quando si trovava in quel luogo decideva di piangere se ne aveva bisogno. A volte si abbandonava ai ricordi e al perché era finita per fare qualcosa che non aveva mai immaginato. Pensava che servire il proprio paese era qualcosa che non avrebbe mai fatto, ma quando gli eventi che accadono riescono a piegare una persona al punto di non riuscire più ad alzarsi in piedi, ci si deve svegliare e capire cosa si vuole davvero dalla vita. Così aveva fatto Olimpia quando aveva deciso di arruolarsi e, contro il parere di tutti, era saltata sul primo volo pronta per qualcosa a cui lei non aveva mai dato un nome e tutto ciò ormai era qualcosa che ormai rappresentava la sua vita. Da molto tempo non vedeva i suoi genitori e quando poteva, faceva una chiamata veloce. Sentiva poco la sua famiglia, proprio il giusto e indispensabile. Olimpia aveva una vita tutta nuova, una vita che nessuno avrebbe concepito e per questo si era chiusa dentro un altro mondo escludendo tutti, tranne i colleghi, gli unici che forse potevano capirla davvero. Da quando era nella base di Herat presso il Trai Advise Assist Command West (TAAC W) nella base del Camp Arena aveva fatto amicizia con molte donne sentendosi in qualche maniera meno sola. Sì, la solitudine era qualcosa con cui Olimpia aveva imparato a convivere dal primo momento, ma nonostante tutto non si era ancora abituata. Con alcune non era facile comunicare, tenendo conto della lingua inglese che masticava non in modo perfetto, ma quanto meno riusciva a tenere impegnato qualche attimo della giornata parlando di qualcosa con qualcuno. Poi però accadeva che partivano perché trasferite in altre basi, o magari facevano ritorno al loro paese, e tutto ricominciava daccapo. Solo una persona le era rimasta accanto da quando era arrivata. Si chiamava Teresa ed era un tenente. Era arrivata solo una settimana prima di lei alla base, ma da subito avevano stabilito un legame fra le mura della base. Teresa si confidava con Olimpia ed era il genere di persona capace ad aprirsi con chiunque pur di non portare il peso delle cose da sola. Per Olimpia le cose erano diverse, perché nella sua vita erano successe così tante cose ad averla segnata che non riusciva a parlare con la stessa facilità di Teresa. Ma lei questo non glielo faceva pesare mai. Teresa era mamma di una bambina di tre anni e quella era la sua ultima missione perché voleva dedicarsi alla famiglia. Raccontava spesso di sua figlia e faceva il conto alla rovescia dei giorni in cui finalmente l'avrebbe riabbracciata. Molti nel campo di Herat avevano famiglia, moglie, marito, figli o qualcuno che li aspettava a casa. Non erano solo italiani; c'erano anche spagnoli, lituani, albanesi...era un mix di culture, ma tutti con lo stesso obiettivo. Tuttavia, lei e Teresa sarebbero partite quasi a distanza di giorni se non con lo stesso aereo.

L'ANGELO DEL CUOREWhere stories live. Discover now