6 - SORPRESA

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Chi ambisce ad avere sempre più dalla vita, impara a perseguire i propri obiettivi con più determinazione. Così aveva imparato Olimpia a dare sempre il massimo, oltrepassando le sue aspettative, rendendo il traguardo qualcosa di eccezionale. Ma quando d'un tratto la terra, che fino a poco tempo prima calpestavi sotto i piedi inizia a tremare, cominci ad aver paura. Ci si chiede: siamo al sicuro? La vita è qualcosa che non possiamo controllare! Non si può nemmeno prendere in considerazione l'ipotesi di poter anche solo controllarla, ma quando una scossa inizia a far tremare tutto, vedi crollare ogni cosa. Vedi crollare gli obiettivi, le incertezze  e tutte le sicurezze; inizi a temere tutto e cosa più importante, inizi a credere di aver sbagliato in qualcosa. Olimpia stava dando tutto per poter andare avanti a testa alta, e anche se era difficile, o anche se non aveva i giusti contatti per poterli raggiungere, stava mettendo tutto l'impegno necessario per poter avere una carriera in servizio permanente e non restare solo un Caporal Maggiore in ferma prefissata quadriennale. Aprì gli occhi e improvvisamente un dubbio le s'insinuò nella mente come un tarlo. Quando vide la dottoressa, capì di essere in infermeria e solo allora la terra iniziò a tremare e capì di dover avere paura realmente.

"Caporal Maggiore...buongiorno" le disse la dottoressa nel suo camice e con dei fogli fra le mani. L'aveva già vista altre volte e oltre a qualche parola di circostanza, non si erano mai dette altro. "Sa cosa le è accaduto?"

"Suppongo di  essermi sentita poco bene..." disse Olimpia, osservando le pareti di un bianco molto luminoso per poi osservare la flebo  e l'ago nel suo braccio.

"I suoi colleghi l'hanno trovata sul pavimento priva di sensi. È stata portata subito qui e abbiamo fatto tutti gli accertamenti. Era disidratata e il corpo ha reagito così..." disse, scrutandola attentamente. "Caporal Maggiore Tregali...le devo chiedere una cosa..."

"Dica pure" rispose Olimpia, credendo di stare di nuovo per svenire.

"Non so cosa le sia successo e questo lo scopriremo dalle analisi che avremo più tardi. Ma ha qualcuno a casa ad aspettarla?"

"No...no...non c'è nessuno".

La dottoressa annuì con fare dubbioso e alla fine si mise a scrivere qualcosa e per del tempo interminabile nemmeno le disse più una parola. "Bene. Le chiedo di pazientare e intanto aspetteremo le analisi. Non la lascerò andare anche perché potrebbe essere debole per stare in piedi, quindi aspetterà qui. Se ha fame le posso portare qualcosa da mangiare".

Dopo tre ore interminabili, un panino super imbottito, una coca cola e una flebo di soluzione fisiologica finita, Olimpia era davvero stanca  e troppo ansiosa di sapere l'esito delle analisi. Quando vide l'infermiera entrare e posare sulla scrivania delle buste, per poco non l'afferrò per le spalle. La dottoressa dopo dieci minuti iniziò a osservare i fogli e muoveva la bocca in modo strano osservandola di sottecchi. Le disse di avere i parametri nella norma e una lieve anemia che poteva curare con l'alimentazione e delle pillole. Le disse altro su qualcosa che non aveva nemmeno capito ma quando le assegnò le vitamine per poterla aiutare le sembrò di non aver capito bene. Le mancò la terra sotto i piedi e si sarebbe data più di un pizzicotto per svegliarsi. Non poteva essere. L'universo aveva iniziato a girare al contrario, o cosa? Qualcuno le stava facendo un bello scherzo e non era di suo gusto.

Quando la dottoressa le permise di andare via, Olimpia sentì una specie di scossa. Avrebbe voluto correre e scappare via. Avrebbe voluto lanciarsi nel vuoto per poi svegliarsi fra le sua coperte nella sua stanza. Avrebbe preso una bella padella pesante e se la sarebbe sbattuta in faccia mille volte pur di potersi svegliare da tutto ciò. Non sapeva se esserne felice, arrabbiata spaventata o terrorizzata. Sta di fatto che Olimpia non credeva a cosa le aveva detto la dottoressa. Come se potesse mentirle! Ma fu più forte di lei e tornò a casa con una borsa strapiena di scatole. Cinque minuti più cinque, più altri cinque e altri dieci ancora, alla fine non aveva più pipì disponibile e le scatole erano finite. Guardò le stacchette di tutti gli stick e per l'ennesima volta corse in bagno a vomitare l'anima. Cosa avrebbe fatto? Appoggiata alle piastrelle fredde del bagno capì che qualcosa era cambiato nella sua vita. Non sapeva se in meglio o in peggio, ma una cosa era sicura. Sarebbe diventata mamma perché Olimpia Tregali era al 100% incinta e le probabilità che, sia la dottoressa che i dieci test di gravidanza avessero preso errore, erano pari allo 0%. Che cosa avrebbe fatto? Coricata nel suo letto, con il volto rigato dalle lacrime e la consapevolezza di averla combinata grossa questa volta, fissava il soffitto. Cosa doveva fare? Si toccava delicatamente la pancia, quella che adesso custodiva il suo bambino. Nel giro di pochi attimi tutto era cambiato in modo imprevedibile e le sembrava di cadere da una cascata di mille metri, solo che non c'era stato nessuno schianto. Non avrebbe detto nulla a Luca, su questo aveva pochi dubbi. Quell'uomo l'aveva ferita ed era talmente arrabbiata con lui che non voleva nemmeno pensarlo. Stava sbagliando, perché il suo bambino non c'entrava nulla in tutta quella situazione e non era certo una colpa se lei era andata a letto con un tale deficiente, ma sta di fatto che non avrebbe incastrato quell'uomo con una donna che non voleva e non gli avrebbe dato un bambino che poi avrebbe finito col disprezzare. Il suo bambino. Le sembrava strano pensarlo e non era capace nemmeno di pronunciarlo ad alta voce. La paura invase ogni briciolo di razionalità. Cambiare tutto ciò, ormai era impossibile e non avrebbe mai abortito per colpa di quell'uomo. Quello era il suo bambino! Olli sapeva che non sarebbe stato facile. Vedeva già quel bambino fra le sue braccia. Immaginava già i primi pianti e i primi dentini. Immaginava ogni cosa, e sapeva con certezza che sarebbe stata da sola. Aveva troppa paura. Paura di non riuscirci, paura di diventare una madre tremenda, orribile e isterica. Aveva paura di cadere e di non avere la forza di riuscire a fare il suo dovere. Aveva bisogno di un abbraccio, ma tutto ciò che aveva erano le sue braccia a confortarla e non poteva fare a meno di piangere. Nessuno dice le cose tremende che possono accadere, tutti si limitano a dire e a raccontare la bellezza di una gravidanza, ma Olli nel suo stato pietoso, vedeva solo le cose orribili che potevano accadere. Immaginava già la felicità di vedere il suo bambino compiere i primi passi e che a guardarlo ci sarebbe stato solo lei. Immaginava le mille domande che un giorno le avrebbe fatto e al quale non avrebbe mai dato una risposta. I compleanni...quelli che avrebbe festeggiato. Le prime cadute e il primo giro in bici. La prima partita di calcetto vinta, o il primo saggio di danza. Quel bambino, o quella bambina, sarebbe stato il suo orgoglio e sarebbe andata avanti a testa alta. Sperava di svegliarsi e che tutto ciò fosse solo un lungo sogno, ma sapeva di essere nella realtà. Una realtà che non avrebbe mai immaginato. Sarebbe caduta, di questo Olli ne era certa, ma sapeva che per amore della creatura che fra pochi mesi sarebbe venuta al mondo, avrebbe fatto di tutto pur di rimettersi in piedi e l'avrebbe protetta contro ogni mostro della realtà pur di rendere la sua creatura felice. Ma restava il fatto di essere una madre single e per questo aveva preso una decisione. Una decisione che avrebbe cambiato la sua intera esistenza – e che non le avrebbe dato più uno stipendio- ma doveva farlo. Per suo figlio o per sua figlia. Gli doveva almeno questo. Sarebbe diventato grande e solo allora l'avrebbe capito ma adesso nonostante le difficoltà e i mille problemi, le serviva una culla, un seggiolino, dei giochi, degli abiti in miniatura, un ciuccio, dei carillion, delle scarpine, una coperta fatta a mano come quella di quando lei era piccola, un trasmettitore di voce, dei pannolini, delle creme baby, vestitini nel caso fosse una femminuccia, e una palla nel caso fosse un maschietto, una camicia della fortuna, e delle calzettine della dimensione di un mignolo. Non smetteva di piangere, non poteva farne a meno. Sarebbe diventata mamma, e sarebbe stato il lavoro più difficile di tutta la sua vita.


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Ciao a tutti lettori! Spero che la mia nuova storia sia di vostro gradimento! Inoltre vi auguro BUON ANNO!!! Nella speranza che questo 2018 sia pieno di fortuna e di buoni propositi!

Ciao e buona lettura!

Caterina

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L'ANGELO DEL CUOREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora