2. The Jesus of Suburbia

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Frank correva lungo le strade deserte di Norna a passi leggeri.

Ormai conosceva quel reticolo d'asfalto come le venature sul palmo della sua mano. Aveva memorizzato ogni curva, ogni ostacolo, ogni biforcazione, ogni nascondiglio. A tratti le luci dei lampioni illuminavano la sua figura scura, svelta ma prudente. In quel silenzio tombale, anche solo un respiro o uno scricchiolio potevano essere di troppo. Teneva il cappuccio calcato sulla testa, come se potesse fare la differenza nel caso in cui l'avessero scoperto. Le mani erano nascoste nella tasca frontale della felpa, gli occhi volavano veloci, sperando di non incontrarne mai un altro paio. Una svolta a destra, poi un'altra, e subito una deviazione sulla sinistra, per evitare una delle telecamere che sorvegliavano la città da un punto seminascosto su una parete. Era pericoloso, così tanto da fargli sentire lo stomaco che gli rimbalzava nella gola e le tempie che pulsavano dolorosamente. Doveva evitare le telecamere ma, dove non c'erano quelle, era più probabile trovare qualcuno di guardia. E onestamente non sapeva quale fosse l'opzione migliore.

Ora lo vedeva. Lo svincolo stretto alla fine della strada, nascosto abbastanza da dargli il tempo di entrare. Mancavano pochi metri. Frank accelerò il passo ma non perse la concentrazione, con le orecchie vigili e la mano destra che stringeva il coltellino che teneva nella tasca, tanto forte da farsi male. A tratti si sentiva qualche voce o il rumore fioco di una televisione, provenienti dagli appartamenti dove tutti si preparavano per andare a dormire. Era strano vedere l'intera città sbarrata, i rettangoli neri che avevano sostituito le finestre di ogni palazzo. L'idea di essere uno dei pochi che avevano il coraggio di violare quelle barriere gli dava alla testa, allucinante come una vertigine.

Ancora qualche passo. Lo percorse con la mente pervasa dal sollievo e il cuore a briglia sciolta. Scivolò con agilità oltre l'angolo, si appiattì contro la parete e digitò velocemente il codice che avrebbe aperto la porta. Lo sbagliò, le dita gli tremavano incontrollabili. Spinse con tutto il corpo appena udì il click della serratura e in un secondo era dentro. Prese un respiro profondo, immerso nel buio del corridoio. Gli parve di essere rimasto in apnea per tutto il tragitto.

Abbassò il cappuccio e scese le rampe di scale che lo dividevano dal seminterrato. Già sorrideva. Si sfregò i palmi sui pantaloni e si fermò davanti a un portone di metallo lucido. Bussò forte, non voleva restare fuori per dieci minuti perché non lo sentivano a causa della musica, com'era già successo. Il leggero brusio che proveniva dall'interno si abbassò subito.

Dopo qualche attimo, la voce del suo migliore amico mormorò vicina.

<<Chi è?>>.

<<Tua madre>>.

Lo sentì armeggiare con la serratura, finchè il ferro spesso non slittò velocemente verso sinistra. La testa di Mikey comparve, col suo casco di capelli castani appiccicati alla testa e gli occhiali che gli cadevano dal naso. Lo prese per la maglietta e lo trascinò dentro in un attimo.

<<Iero, un giorno di questi ti lascio fuori>>, borbottò, chiudendo di nuovo.

<<Michael! Quante volte te l'ho detto che devi finire i compiti, prima di uscire con quei drogati dei tuoi amici?>>. Gli fece il verso, con gli occhi che già ispezionavano la stanza.

L'altro lo superò con una spallata e un sorriso divertito sulle labbra.

<<Fottiti>>.

La sua poltrona preferita era già stata occupata da Matty Healy, l'idiota più divertente e fedele che avrebbe mai potuto desiderare come amico. Frank salutò anche lui con un gesto della mano e lo vide voltarsi in direzione di Mikey.

How to disappear and never be found againDove le storie prendono vita. Scoprilo ora