14. Giornata libera (seconda parte)

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Ciò che sappiamo è una goccia
ciò che ignoriamo è un oceano
I. Newton

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Non sono sicura che sia una buona idea.
Anzi sono certa che finirò nei casini.

Daniel cammina al mio fianco, con passo lento, e l'odore di fumo che emana è veramente forte.
Mi allontanerei, se solo non sentissi come una scarica elettrica di piacere, ogni volta che mi trovo casualmente al suo fianco.

-Ancora mi guardi...- mormora lui con voce roca e con lo sguardo rivolto sul muro davanti a noi.
-Non ti stavo guardando...- mento ma lui sorride, scuotendo la testa.
Non mi crede.

-Dove stiamo andando...sembra infinito questo posto...- mormoro guardandomi intorno, ormai è da qualche metro che non c'è più l'ombra di nessuno.
Non so se esserne rassicurata o meno.

È tutto così buio, ormai l'unica scia di luce è quella proveniente dalle grandi finestre situate in alto.

-Ti faccio vedere la mia cella- dice improvvisamente, lasciandomi senza parole.
-La tua cella?-
Lui annuisce.
-Non vuoi vederla?- domanda, notando che probabilmente ho avuto una reazione strana.

-No...è solo che non pensavo che potessi entrare per vedere le celle...- spiego.
-Infatti non potresti- conferma i miei dubbi.

Mi fermo nel corridoio.
-Stai scherzando Daniel?-
-Mai stato più serio Alexandra- parla chiaro e tondo, con un leggero sorriso furbo sul viso.

-Se mi dovessero trovare nella cella...con te...finirei nei casini- dico pensando alle possibili teorie, ma lui scuote la testa.

-Sono io che finirei nei casini...- si avvicina, abbassandosi per guardarmi negli occhi.
Quasi rimango affascinata, dimenticandomi del discorso.
-Sono io il detenuto qui...non tu- mormora -Io rischio- aggiunge.

Sento che appoggia una mano sulla mia schiena, spronandomi a camminare.
Rimango per un attimo spaesata da questo suo gesto.

Lo seguo in silenzio.
Non sono certa che sia lui l'unico a rischiare, perché anche io sto facendo una cosa che non mi è permessa.
È già passato più tempo del previsto...probabilmente Brianna mi starà già cercando.

Ignoro tutto,
Tutti i dubbi.
Cerco in tutti i modi di fidarmi di Daniel, anche se mi risulta ancora difficile.

-Ecco...- dice aprendo una porta, che era rimasta aperta grazie ad un pezzettino di plastica incastrato in mezzo alle due ante.
Entro lentamente, sentendo i suoi occhi addosso.

Si tratta di una cella piccola, ma non troppo.
C'è un letto a castello...probabilmente sono in due le persone a stare qui dentro.
Le coperte e i cuscini sono di un bianco pallido, pulito, quasi come i letti di ospedale.
I muri, del medesimo colore, sono sciupati, pieni di scritte e non posso fare a meno di notare la finestra blindata.

Mi guardò ancora un po' intorno notando una scrivania in legno massiccio, con due o tre libri sopra.
Ci passo il dito sopra e capisco benissimo che devono essere dell'altro detenuto, perché sono trattati fin troppo bene.

Quando però la mia attenzione viene catturata di nuovo dal letto, non mi è difficile capire quale sia quello di Daniel.

Quello in alto, sul muro, è ricoperto di foto, poster e disegni di vario tipo, non riconosco i volti perciò deduco che si tratti del suo coinquilino.

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