Capitolo 4.

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04.

Avete presente quando litigate con una persona a voi cara e anche se siete talmente arrabbiati con lei o lui non riuscite ad odiarla o almeno a provare dei sentimenti negativi nei suoi confronti? Quando anche solo vederla, o semplicemente sentir parlare di lei ti viene la rabbia in corpo, e la insulti, e la detesti, ma comunque dopo ti senti in colpa. Quelle telefonate durate ore su ore a parlare di cose stupide, di com’è andata la giornata, o semplicemente di come ti senti al momento, quella sensazione di fierezza in se stessi quando dici una cosa stupida o quando fai una battuta squallida, e la senti ridere di gusto, quella risata che ti farà sorridere. Quando vi date quei consigli stupidi, ma che alla fine sono pure efficaci. Parlare di converti, musica, ragazzi, ragazze, di cosa farete nel pomeriggio, di com’è andata la giornata a scuola, e sfottere la solita oca di classe, esagerando un po’  come al solito, di saghe di libri, film, gruppi musicali, shipparvi con componenti di band famose, e sognerete che un giorno li incontrerete e li abbraccerete. Non vi mancano queste cose? Che all’apparenza sembrano tanto stupide, ma ora che ne senti la mancanza, tanto stupide non ti sembrano affatto. E vorresti chiudere i rapporti, ma ormai ti sei reso conto che questa persona è diventata parte fondamentale della tua vita, e ti manca.

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“Il dottore mi ha detto che devi prendere una di queste al giorno.” Ashton parlò, porgendomi un pacchetto di antidepressivi.

“Certo.” Mi limitai a rispondere.

“Ti manca?”

“Luke?”

“Mhm.” Annuì lui.

“Non lo so.” Risi nervosamente.

“E’ la prima volta che ti vedo ridere da quando sei uscita dall’ospedale.” Mi fece  notare.

“Quindi?” chiesi confusa.

“Quindi anche se è stato lui la causa dei tuoi problemi, parlare di lui ti fa sorridere, anche quando non vorresti.”

“Posso parlargli?” chiesi con perplessità.

“Adesso?”

“Adesso.” Risposi con più sicurezza.

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LUKE’S POV.

“Allora?” chiesi quando Ashton entrò in soggiorno.

“Vuole parlarti.”

“Scherzi?” Domandai incredulo.

“Ti sta aspettando sul portico.”

“Oh Ashton, vaffanculo. Non credo di potercela fare.” Mentii.

“Sei tu la causa dei suoi problemi, quindi ora alza il culo da quella poltrona e vai a parlare, stronzo.” Sputò.

Uscii di casa, la vidi. Era rannicchiata sugli scalini, con la testa bassa. Avanzai nella sua direzione e mi sedetti accanto a lei. Spostò lo sguardo delle sue mani, mi guardò per un secondo e poi spostò di nuovo lo sguardo sulle sue mani.

“Come stai?” Fu tutto quello che riuscii a chiederle.

“Sul serio? Non mi vedi da mesi e la prima cosa che vuoi sapere è come sto?”

“Sì.” Risposi sincero

“Giorni senza sentirti, come pensi possa sentirmi?”

“Ehm.. bene, ti senti bene. Non è così?” chiesi

Si girò verso di me. “Tutto male, grazie.” Rispose sfoggiando un sorriso falso.

“Ti sono mancato?”

“Vorrei tanto dirti di no.” Sospirò.

 “Io invece ti sono mancata?” chiese a sua volta.

“Come l’aria.”

Mi guardò, aprì la bocca per dire qualcosa, ma subito dopo la richiuse.

“Dimmi.” La incoraggiai.

“Ho parlato con mio padre.”

“Si?”

“Torno a Londra.”

Remember me. // he looks so perfect sequel. [completa]Where stories live. Discover now