Capitolo 7.

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07.

«Tu che dici che ami la pioggia, ma quando piove apri l’ombrello. Tu dici che ami il sole, ma quando splende cerchi l’ombra. Tu dici che ami il vento, ma appena tira chiudi la porta. Per questo ho paura quando dici che mi ami.»

-        William Shakespeare.

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Pioggia. Può sembrare strano ma la pioggia è uno stato d’animo. Quando sei felice, triste, arrabbiato o sereno, lei è lì, a far da sottofondo ai tuoi pensieri. La pioggia ti fa compagnia quando le tue braccia o la tua cartella non bastano come riparo, quando corri per non perdere l’autobus, oppure quando si confonde con le tue lacrime. Personalmente trovo la pioggia magnifica. Lei accompagna le mie giornate: la mattina quando sono a scuola, il pomeriggio quando  rientro e durante la notte quando dormo. Il suo rumore mi rilassa, il perché non lo so, ma mi rilassa. La pioggia mi dà il buongiorno e la buonanotte picchiettando sul tetto di casa mia. Molte persone trovano la pioggia inutile in qualsiasi stagione dell’anno, invece io vorrei che piovesse in ogni stagione dell’anno. Per molti la pioggia mette noia, ve ne state lì seduti davanti alla finestra, con la mano stretta in pugno appoggiata alla guancia, a contare i secondi, aspettando che esca il sole. Siete arrabbiati perché volete uscire a fare un giro in bicicletta, oppure andare a fare un giro con le amiche e gustarvi un gelato stando all’ombra lontano dal sole cuocente. Invece quando piove me ne sto sul mio letto, con il CD di Ed Sheeran nello stereo, e con un libro tra le mani, o anche senza. Semplicemente distesa sul letto, con un po’ di buona musica come sottofondo a pensare, a cosa non lo so. Credo di essere una delle poche persone che veramente ama la pioggia, e credo che sia così.

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“Accidenti.” Borbottai uscendo dall’aeroporto, notando che stava praticamente diluviando. Presi il piccolo ombrello che avevo messo nel bagaglio a mano e lo aprii, ma  servì a poco dato che dopo ogni secondo che passava i miei vestiti si infradiciavano ancora di più. Alzai un braccio, prenotando il taxi che stava arrivando. Entrai e gli diedi l’indirizzo alla quale doveva portarmi. Appoggiai stanca, la mia schiena sul sedile dell’auto, cominciando a guardare fuori dal finestrino. Avrei messo anche le cuffiette e mi sarei ascoltata un po’ di musica, ma dopo otto ore senza interruzioni, il mio iPod era praticamente morto. Non lo so perché facevo così ogni volta che entravo in un qualsiasi veicolo a quattro ruote, semplicemente mi aiutava a concentrarmi di più sui miei pensieri. Oh diamine, non lo so!

Il taxi si fermò e davanti a me vi era la mia vecchia casa, un mare di ricordi inondò la mia mente e subito dopo i miei occhi si appannarono a causa delle lacrime che stavo trattenendo.

“Tutto bene?” mi chiese il tassista. Mi limitai ad annuire con la testa. Scesi dalla macchina e il tassista mi diede la mia valigia. “Grazie, e tenga pure il resto.” Lui mi sorrise, entrò in macchina e se ne andò. Percorsi il piccolo viale che conduceva a casa mia. Presi le chiavi le infilai nella toppa – per fortuna che l’agenzia immobiliare non aveva cambiato la serratura – ed entrai in casa. L’ambiente era poco illuminato, provai ad accendere la luce ma la corrente era stata staccata. Il piano di sotto era completamente rivestito di polvere e i mobili erano coperti da un lenzuolo bianco, impolverato a sua volta. Lasciai la valigia nella Hall e corsi al piano di sopra. Anche la mia camera era sommersa dalla polvere e i pochi mobili che avevo lasciato  avevano un lenzuolo a ricoprirli.

Sulla scrivania scorsi una foto che ritraeva me e Luke.

“Dai su sbrigati Luke, l’autoscatto dura solo dieci secondi, muoviti.”Mi lamentai quando mi ero già posizionata davanti alla fotocamera, mentre lui era appena entrato in camera.

“Aspetta, almeno lasciami sistemare i capelli.” Si lagnò pettinando con le dita il suo ciuffo biondo.

“Sbrigati, tra poco mi viene una paralisi facciale a stare così sorridente.”  Rise leggermente al mio commento, avvicinandosi a me.

“Non staresti male con una paralisi, però!” commentò a sua volta suscitando una risata isterica da parte mia. E poi ci fu il flash della mia fotocamera.

Mi vergogno un po’ di quella foto, perché io sono piegata in due dalle risate mentre Luke è girato verso la fotocamera sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori, cavolo io sembro assatanata. Indietreggiai, con la foto tra le mani, quando i miei piedi toccarono qualcosa, facendomi sbilanciare. Abbassai lo sguardo raccogliendo l’oggetto che accidentalmente avevo calpestato. Era maglia dei Nirvana di Luke, ovvero il mio pigiama. Era leggermente rovinata dalla polvere. La piegai e la misi in borsa assieme alla foto. Dovevo trovare Luke a tutti i costi.

spazio autrice.

 scusate, dovevo pubblicarlo ieri sera ma ho avuto dei contrattempi. spero che il capitolo vi piaccia anche se l’ho scritto un po’ alla cazzo, lol. cagatemi su Instagram che sembro un idiota che parla da sola :(. Vvb. – Fede.

Remember me. // he looks so perfect sequel. [completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora