Capitolo 14_Auld Lang Syne (parte 1)

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25 dicembre, ore 16.00

Annabeth

"Che vuol dire, sei preoccupato?"

"Sì, gli telefono da questa mattina e non risponde né al cellulare né al fisso" mormorò Adam dall'altra parte della cornetta, che tenevo abilmente incastrata tra la guancia e la spalla.

Che strazio. Sembrava che Sbronzilla fosse introvabile e, dato che lui era fuori città, mi aveva pregato di passare a controllare che fosse ancora tra noi.

"So che ti sto chiedendo tanto, ma ha trascorso la Vigilia da solo e voglio solo assicurarmi che stia bene"

Ci rimuginai sopra. "Ieri sembrava stesse benone. Magari ha staccato il telefono proprio perché non vuole parlare con nessuno" azzardai. Io l'avevo fatto spesso, lavorando a qualche opera. La gente impazziva per ore a cercarmi, ma io trovavo rilassante estraniarmi da tutto.

"No, in realtà squilla a vuoto"

"Ah"

"E non ha neppure risposto al messaggio che gli ho inviato un'ora fa"

"Beh, quella non è una prova che gli sia successo qualcosa. Io a volte replico mentalmente ai messaggi che ricevo e mi dimentico di scrivere effettivamente qualcosa in risposta!"

Lo sentii ridere di gusto. Scemo. "Per favore, Annabeth"

Sospirai nervosamente e, posando la mia statuetta sul tavolo ad asciugare la nuova mano di pittura, presi la mia decisione. "Va bene, passerò da lui più tardi per portargli degli avanzi"

"Grande! Grazie, dolcezza. Ti devo un favore enorme" esclamò Adam, felicemente sollevato. Mi domandai se si rendesse conto di essere patologicamente legato al suo amico, considerato che invece di godersi il Natale perdeva tempo ad angosciarsi con certe sciocchezze. Conoscendolo, era probabile che Sbronzilla stesse a meraviglia e tenesse il muso lungo a tutti per sfregio.

"Figurati, mi basterebbe un altro set di pennelli professionali per quando avrò consumato quelli che mi hai regalato" colsi la palla al balzo.

"Andata!"

***

Tre ore più tardi, me ne stavo in attesa fuori dal palazzo di Adam e Bradley. Avevo citofonato due volte e nessuno si era ancora degnato di aprire il portone. Gettai un'occhiata alla finestra della cucina, che si affacciava sulla strada: le luci erano accese. Ergo, il Ragazzo Punk doveva essere in casa.

Una signora anziana, tirando lentamente le chiavi fuori dalla borsa, mi chiese cortesemente se desiderassi entrare e risposi di sì. Che domanda bizzarra, pensai. Certo non ero ferma lì ad ammirare l'architettura dell'edificio!

In ascensore mi fece i complimenti per il mio spirito natalizio, indicando le corna di renna che avevo in testa, così le raccontai che ero appena tornata da un turno di volontariato in ospedale al reparto pediatrico, e lei si sciolse come melassa. "Che bel gesto portare un po' di gioia a quelle creaturine così sfortunate"

Già, anche se era stato meno bello farmi ripulire di parecchi spiccioli durante una partita a Scarabeo. Insomma, chi cavolo aveva insegnato a Cole che si giocava a soldi?
E tutte quelle nuove parole complesse che aveva tirato fuori?

Un mistero.

Arrivata al piano, salutai la donna augurandole un Buon Natale.

Quando le porte dell'ascensore si chiusero alle mie spalle, però, il sorriso che avevo sulle labbra si smontò. Ero davvero arrabbiata con quello stupido antropoide che mi aveva lasciata a prendere freddo in strada senza degnarsi di rispondere al citofono, ma almeno volevo dirgli in faccia ciò che pensavo di lui.

Let It All Go [sequel di Both Sides Now]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora