4. Casualità

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Avevo la fobia dei posti chiusi e bui, sentivo il mio respiro diventare, con il passare dei secondi, lentamente più pesante. Riuscimmo a tenere d'occhio la situazione da qualche piccolo buchetto che c'era sulla porta dello sgabuzzino in cui ci eravamo infilati. La scampammo per un pelo, quando sentimmo il tecnico che era salito sul tetto dire al preside:« Non c'è nulla, probabilmente è stato qualcuno in strada »

Tirai un sospiro di sollievo e maledetta me che lo feci, perché della polvere mi finì in gola e rischiai quasi di soffocare nel tentativo di trattenere la tosse, non dovevo farmi sentire da nessuno fino a quando non sarei stata sicura al cento per cento che il tetto fosse libero da qualsiasi persona. Noah, dal canto suo stava tenendo gli occhi chiusi, come se lo aiutasse a mantenere la calma. Non ne capii molto bene il motivo, forse anche lui, come me, era claustrofobico... Non ebbi il coraggio di fargli domande, mi accontentai di osservarlo, dato che non c'era altro da guardare in quella stanzina minuscola. Riuscii a tracciare con gli occhi i lineamenti del suo viso, soprattutto la cicatrice che aveva sul lato sinistro della sua bocca. Chissà quante cose gli erano successe nella sua vita, chissà cosa aveva messo a rischio la sua permanenza nella nostra città... I suoi genitori adottivi erano parecchio innervositi, ma era davvero ciò che Noah desiderava?

« Ehi... » mi disse.

Mi accorsi che aveva ormai gli occhi aperti e che mi stava fissando come se avesse due punti interrogativi al posto degli occhi. Effettivamente, chiudere gli occhi e poi riaprirli con davanti una ragazza che ti fissa non doveva essere proprio la cosa più normale del mondo...

« ... Penso se ne siano andati definitivamente » ipotizzò, sussurrando.

Aspettai qualche minuto prima di aprire la porta dello sgabuzzino e mettere piede fuori. Come aveva detto Noah, non c'era più nessuno.

« Beh, se la tua intenzione era quella di farmi provare il brivido dell'espulsione, bastava dirmelo»

« Avresti rifiutato la mia offerta di venire quassù?» gli domandai incuriosita.

« No» mi rispose sorridendo:« Ma avrei trovato un nascondiglio migliore » mi prese in giro.

La vidi molto dura visto che l'unico nascondiglio esistente era quello che avevo trovato io, ma lo lasciai con la convinzione di avere ragione e tornammo in classe. Fortunatamente nessuno ci vide rientrare, i corridoi scolastici erano vuoti dato che tutti erano a lezione. Le ore volarono, con me che ogni tanto scarabocchiavo il mio quaderno e Noah che faceva lo stesso. Ogni tanto ci capitava di guardarci, di far incrociare i nostri sguardi, ma era questione di pochi secondi. Non avevo idea di che cosa passasse per la testa a quel ragazzo e mi turbava, mi incuriosiva, aveva una storia da raccontare eppure non se la sentiva di condividerla. Non doveva aver avuto un passato facile se persino il ricordo lontano lo turbava.

La giornata scolastica giunse alla conclusione, non vedevo l'ora di mettere piede fuori da quell'edificio.

« Anche oggi a rubare bici?» domandò Clary, una delle poche amiche che avevo in quella scuola.

Era una ragazza parecchio socievole, la conoscevo da quando era molto piccola perché i nostri genitori, avendo fatto l'università insieme, erano rimasti in ottimi rapporti. Talmente ottimi che avevano deciso anche di prendere casa nello stesso quartiere, per forza di cose io e Clary ci siamo sempre trovate a condividere molti momenti della nostra infanzia e adolescenza. Sua madre per me era un grandissimo punto di riferimento, in quel periodo in realtà la vedevo come se fosse mia madre. Io non avevo più una figura femminile di riferimento, mi sentivo persa, e lei la rappresentava alla perfezione. Motivo per il quale mi capitava spesso di andare a trovarla e passare il pomeriggio con lei e la mia migliore amica.

LOVE AND LOSSOù les histoires vivent. Découvrez maintenant