B — H O N G J O O N G

Quell'anno scolastico sembrava essere incominciato nel peggiore dei modi.

Dato che alla fine dell'estate pareva non fossi cresciuto di un centimetro, mia madre aveva deciso di punto in bianco di non comprarmi la nuova divisa scolastica –Risparmiamo!, così aveva detto–, dunque ero l'unico fesso della scuola a possedere ancora quel ridicolo maglione color prugna e la cravatta di un beige chiaro – parliamoci chiaro, nemmeno mio nonno avrebbe indossato abiti del genere–.

Mi sono dovuto fare in quattro per guadagnare da San i soldi necessari per comprarmi autonomamente la divisa nuova, dunque ciò aveva comportato lavori forzati h24, come ad esempio cucinargli il pranzo, essere disponibile a stirargli –ogni volta– la camicia per l'ennesimo appuntamento con l'ennesima ragazza e buttargli la spazzatura nonostante gelasse o piovesse.

Viziato incapace!

Nemmeno un minimo di rispetto nei confronti di un suo Hyung. Come se la vita non mi avesse già sorriso abbastanza, quella mattina persi il tram, dunque dovetti attraversare di corsa mezza città –zaino in spalla e morale a terra–, nelle speranza di arrivare entro le 08:15. San, a metà strada, mi passò accanto con la propria auto, salutandomi allegramente dal finestrino e superandomi con nonchalance.

Dannato bastardo!

Arrivai appena in tempo a scuola, affannato e sudato, barcollando esausto verso l'ingresso dell'edificio. Mi tamponai il sudore dalla fronte con le maniche della camicia, ansante, comprando immediatamente una bottiglietta d'acqua da una delle macchinette poste all'esterno. Dopo di me, notai esserci in fila un altro ragazzo, che mi lanciava occhiate contrariate.

Probabilmente puzzavo di pesce avariato, e la mia camicia sudata era evidentemente impresentabile. Persino un piatto di broccoli sarebbe apparso decisamente più consono. Mi passai una mano tra i capelli, imbarazzato, superandolo rapidamente. Forse avrei dovuto studiare anche il cinese, oltre al giapponese e l'inglese, in modo da maledire San in più lingue possibili.

Il ragazzo delle macchinette parve sollevato dal mio allontanamento, dal momento che notai le sue spalle rilassarsi. Lo vidi comprare una bottiglietta d'acqua e raggiungere un suo amico. Rallentai appena il passo, irrigidendomi infine sul posto, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quei due. Dannazione, perché certe persone nascono talmente fortunate? Non sono una persona esigente, ma qualche centimetro in più me lo meritavo. Eccome se me lo meritavo. Le mie infinite sventure avrebbero dovuto influenzare la mia psiche, non la mia altezza.

L'amico del ragazzo delle macchinette era di un'altezza sovrannaturale. Spalle larghe, schiena perfettamente dritta, lunghe gambe fasciate da dei pantaloni accuratamente stirati. Mi sforzai di non domandarmi nuovamente in quali condizioni fosse la mia divisa: preferivo riservarmi quell'attimo di vergogna per un altro momento.

Sospirai rassegnato, mentre venivo raggiunto dall'ultima persona sulla terra che desideravo vedere. Mi distrassi subito. Furioso, mi gettai su San –che mi sorrideva come l'ebete quale era–, tentando di raggiungere con le dita il suo collo sottile, sperando di porre fine alla causa di tutte le mie sfortune.

«Maledetto, potevi almeno darmi un passaggio!» lo rimproverai, quasi con le lacrime agli occhi per la frustrazione. San si scostò agilmente dalla mia presa, guardandomi incredulo, proprio come se avesse subito il peggiore dei torti, spolverandosi indispettito la giacca della divisa.

«Hyung, ti sei svegliato con la luna storta?» commentò allora, visibilmente divertito, sistemandosi il ciuffo spettinato con una molletta rosa. Ridicolo. Sosteneva di essere adorabile, e in quel modo avrebbe attirato il doppio delle donne.

«Sei tu la mia luna storta. E smettila di ridicolizzarti in questo modo!» lo ripresi, massaggiandomi esasperato le meningi. Lui ridacchiò appena, per poi aiutarmi a sistemarmi la camicia e i capelli, tentando di rendermi minimamente presentabile. Sbuffai leggermente, guardandolo male.

«Ruffian

«Mi perdoni, vero Hyung?» mi interruppe subito lui, guardandomi supplichevole, con in viso il più luminoso dei sorrisi. Ma come avrei potuto resistergli? Percepii il mio viso rilassarsi, e mi pizzicai le guance per impedirmi di sorridere. Lui lo notò, e sorrise di conseguenza ancor di più, abbracciandomi di slancio, soddisfatto.

«Grazie Hyung, sei il migliore amico del mondo!» esclamò allegro, stretto forte a me. A disagio, gli diedi qualche pacca sulla schiena.

«Vorrei poter dire lo stesso...» borbottai tra me e me. San finse di non sentirmi. Rassegnato, lo seguii all'interno dell'edificio, contenendo da copione il mio più che evidente entusiasmo.

Eppure, in quel momento ero ancora inconsapevole di tutte le mie future sventure. Ad averlo saputo prima, avrei volentieri perso il tram ogni mattina.

𝐔𝐓𝐎𝐏𝐈𝐀 [Ateez]Where stories live. Discover now