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La mia speranza di arrivare, per una volta, in orario è esaudita: il luogo è deserto, non un anima si azzarda a divagare senza meta in zone a rischio, e Logan è tra queste ultime.

Mi siedo su una panchina, forse la medesima del mio primo giorno, del resto mi considero una persona nostalgica. Tra le varie questioni che dilagano nella mia mente, questa è la meno pericolosa: non mi piace essere riflessiva e ossessionata dai dettagli di un passato che non va rammentato, tuttavia mi riterrei una sciocca se così non mi comportassi, durante il periodo che trascorro da sola. Pondero, azionando di nuovo gli ingranaggi, sulle ultime comunicazioni avute con i miei familiari, incrociando le gambe e facendo su e giù con il piede a penzoloni. I miei occhi visualizzano la sola immagine di mio fratello: contrariamente a John, non mi ha ancora contattata ed è una cosa pressoché strana, dato il profondo legame che ci tiene tuttora uniti. 

Se c'è qualcuno di cui vorrei preoccuparmi, quello è senz'altro Thomas: magari stasera potrei approfittare di un messaggio per avere sue notizie e dei suoi studi facoltosi che, immagino, proseguano sempre al meglio. Certo, lo trovo possibile, a condizione che non sia già dall'altra parte del mondo con John.

Da quando ci ha accolti nella sua casa di campagna, i traslochi, i viaggi estivi e natalizi sono all'ordine del giorno: la storia che ci lega è complicata, ardua da disporre su una linea del tempo da parte di qualcuno esterno ai fatti, è un racconto miserabile che si riversa in un fiume di promesse e visite a paesi sconosciuti. Ogni luogo, dove l'essere umano possa divenire un conquistatore, noi lo abbiamo reso accessibile per colmare i vuoti che lasciava il lavoro di John, il suo trasferimento immediato da una base all'altra: Europa, Canada, Russia, Regno Unito, Sud America, Cina, Giappone, Vietnam, Iraq, Iran e Afghanistan. Ognuno di essi con una storia da raccontare e una guerra diversa da combattere, l'ultimo dei quali rappresenta l'orgoglio del Colonnello: gli Stati Uniti, percorsi in tutta la loro estesa area di territorio tra pianure, coste e montagne rocciose, il viaggio conclusivo che termina con una dimora permanente a San Francisco.

-Hey...- una voce si insinua tra le poche certezze di una vita; il saluto di rimando, che mi appresto a rivolgere, non è verbale. È in piedi, le mani nelle tasche della felpa grigia che appare allungata e le cuffie alle orecchie, le stesse che avevo notato in classe al nostro primo incontro. Se le toglie, infilandole nei jeans, dopo di che si accomoda vicino a me.

-Allora...di cosa volevi parlarmi?- chiarisce in anticipo, con un'espressione vacua diretta altrove.

-Prima di tutto volevo scusarmi per oggi: ho dovuto scontare una punizione insieme ad un mio compagno di corso e, pulendo il laboratorio di chimica, mi è passato davanti tutto il pomeriggio senza che me ne accorgessi- comincio con una proposizione più lunga di quanto avrei voluto.

-Non importa, i professori approfittano sempre dei loro studenti più... distratti. Comunque non darci troppo peso, non avevo niente di importante da fare.- Scrolla le spalle, un gesto piuttosto abituale, quanto caratteristico. -Dimmi solo una cosa: è vero che hai pestato Susan?-

-Le notizie volano così in fretta qui?- la domanda retorica esce affranta dalle mie labbra.

-Sì, purtroppo sì, ma volevo essere sicuro che ciò fosse vero: non è la prima volta che diffondono falsità sui nuovi arrivati-

-Sì, è vero, ma sinceramente non ne vado troppo fiera-

-Dovresti, in fondo la maggior parte delle persone ora ti ammira-

Perché dovrei essere orgogliosa di un accaduto simile? Questo non riesco a comprenderlo, ma vorrei rivendicare un motivo valido dal ragazzo al mio fianco. Bensì le parole che fuoriescono sono alquanto differenti. -Tu, invece, cosa ne pensi?-

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