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Is this the real life?
Is this just fantasy?
Caught in a landslide
No escape from reality

Con le mani nelle tasche della giacca in pelle chiodata, incedo pigramente attraverso i corridoi dell'edificio così familiare, ma, al tempo stesso, talmente estraneo per una novellina del mio calibro: qui regna la quiete, forse fin troppa, il che mi mette a disagio.

La mia meta attuale sono le piscine: recentemente ho saltato un'innumerevole quantità di corsi, nella speranza di poter persuadere Hayley a prenderne parte, tuttavia la sua buona volontà ha sempre avuto la meglio convincendomi dell'inutilità dei miei atti; inoltre, abbandonare la sola possibilità di poter gareggiare, per essere compiaciuta dalla presenza della mia migliore amica, è solo uno spreco di tempo, dal momento che trascorriamo interi pomeriggi insieme.

I miei piedi si muovono in sincronia attraverso l'aria persa e gelida della stagione glaciale. Nell'attimo in cui l'ampia porta grigia d'ingresso primario si dischiude con uno stridio strascicato, la rigida bufera si scontra con qualsiasi porzione del mio corpo, si insidia tra i miei abiti per giungere al centro di controllo: le dita sono paralizzate, il naso e le guance si tingono gradualmente di rosso e la schiena capta i colpi silenti della cattiva stagione.

La fontana, emblema dell'istituto, è coperta da un manto bianco: una pelliccia di puro ghiaccio che aderisce dolcemente ad una forma cristallina; i delicati fiocchi, però, non hanno alcuna intenzione di frenare la loro caduta verso quella superficie di pietra.

Oltrepasso il cortile, oramai desolato, con impazienza, sino all'entrata opposta che permette di accedere alle palestre.

Ieri sera non siamo giunte ad una decisione concreta, ciononostante Hayley è stata in grado di convincermi a proposito delle sue opinioni: è un evento che non rimarrà inosservato, dal momento che rischio di non recuperare più la padronanza di me stessa e non ho alcuna garanzia che lui venga punito. La denuncia deve essere spedita prima possibile, al resto penserà la legge: questi sono i canoni imposti dalla mia amica per riacquistare, almeno in una piccola porzione, la tranquillità.

Noto con piacere di essere in netto anticipo, perciò ripongo la mia mole, affiancata da quella del borsone ingombrante, su uno dei divanetti in pelle dinnanzi alla segreteria: avrei potuto portare con me un qualunque romanzo, al fine di occupare il tempo con un'attività benefica; ciononostante, la necessità di stringere tra le mani un tomo viene trascurata dalla suono di un telefono. Lo estraggo dal suo scompartimento, all'interno della borsa, e mi accosto ad una parete, allo scopo di sostenere una conversazione privata. Per un qualche secondo considero coscienziosamente la possibilità di avere allucinazioni, giacché il numero appartiene al parente più anziano della mia famiglia.

Un mormorio strozzato fuoriesce dalla mia gola; dall'altro lato invece, non colgo la voce che attendevo con irrequietezza: è fluida, bassa e nervosa, un timbro che non appartiene ad un sessantenne, bensì pare quello di un giovane in preda all'agitazione. Sono sicura di aver già udito in passato un'analoga intonazione, eppure non riesco a chiarirne le origini. Il mio obiettivo, perciò, risiede nelle sue parole successive, un appiglio al mondo esterno, alle conoscenze di John; così, domando a proposito della sua identità ignota, per avere un'idea di chi sia l'ambasciatore.

-Ben- replica con una certa banalità. -Benedict Carter- segue appresso, comprendendo presumibilmente il mio grado di consapevolezza. Riprendo a camminare, al pari di un leone in gabbia, ma la mia è costituita da un cassetto di ricordi e memorie, dalle quali non sono convinta di voler attingere. Questa, tuttavia, è l'unica modalità appresa per ricostruire un'immagine del suo viso.

Ed in un'istante di lucidità, come un lampo di fuoco che ti balena davanti agli occhi, ho la soluzione al mio quesito: il sergente Carter, il ragazzo che è diventato uomo passando sotto l'ala protettiva di John Marchetti. Lavorano insieme da qualche mese oramai, tuttavia è da tanto che non si presenta a casa nostra per ricordare i vecchi tempi: se ben rammento, è stato mio fratello a cacciarlo fuori dalla porta urlandogli contro il fatto che non avrebbero trasformato la nostra dimora in un quartier generale; la sua perdita di pazienza era dovuta alle assillanti domande di Carter, il quale avrebbe voluto unicamente migliorarsi, grazie ai consigli del colonnello, ed avanzare nella sua carriera di soldato, appena al principio.

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