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Il rumore dell'acqua che si increspa è sempre stato paradisiaco per le mie orecchie, una concessione divina per sfuggire ai dubbi spirituali, eppure l'effetto non è duraturo come di consueto; nonostante la sensazione di invincibilità, avvertita quando sono a mollo, mi renda più serena, è inevitabile che qualcosa, o qualcuno, la danneggi: l'accento femminile della coach attira la mia attenzione, una concentrazione dispersa su chissà quale linea parallela.

Drizzo la schiena al muro e riempio i polmoni d'aria appena mi si presenta l'occasione.

-Che succede, Marchetti?- un lieve cenno con la testa indica il suo disappunto, sottolineato dalle sopracciglia piegate in una smorfia ed il suo avvicinamento critico al palo in ferro che sorregge le bandierine, sospese sulla linea meridiana della piscina.

-Me lo dica lei, professoressa- non userei un tono analogamente irritato nemmeno per bisticciare con John, non mi permetterei mai, perciò sono esterrefatta della mia stessa voce.

-Sì, hai ragione, te lo dico io: è ora che tu esca da qui, oggi non è giornata per allenarsi- mantiene la calma, come sarebbe d'obbligo per ognuno, e non manca di rispetto alla mia persona, nonostante le abbia indirizzato una frecciata snervante.

Muovo verso il basso le braccia per appiccicarle ai fianchi, ma, successivamente, mi levo gli occhialini per eseguire il suo ordine: le mie mani si agganciano all'estremità più distante del muretto, allo scopo di soppesare la mia massa e uscire con un piccolo balzo delle gambe. 

Gli altri studenti, per la seconda volta in questa pessima giornata, mi adocchiano con dei visi perplessi e meravigliati quanto il mio; Collins, invece, pare voler dissimulare quel genere di imbarazzo, più propriamente denominato disagio, che sta cogliendo i nostri atleti migliori.

-Il tuo tempo è stato pessimo. Voglio sperare che tu abbia una motivazione valida per questo, altrimenti...- so dove vorrebbe andare a parare, bensì non porta a compimento la frase: vedendomi in difficoltà nel ritirarmi al di sopra della parete interna della vasca, mi affianca con due occhi impietositi dalle mie condizioni ed accenna ad un gesto per accompagnare il mio, al solo proposito di aiutarmi nel mio terribile sforzo che appare tremendo; tuttavia, quando la sua mano estranea si stringe al mio braccio nudo, rivivo una disgustosa sensazione di soffocamento, vengo oppressa da una barriera illusoria.

-Non mi tocchi!- lancio un grido disumano, sentendomi indifesa dinnanzi a qualcuno che mai alzerebbe le mani a mio svantaggio, cosa che, però, per un istante, mi è parsa probabile, poiché la maschera, che ho avuto il dispiacere di visualizzare, raffigurava il volto di quel ragazzo che troppo mi sta rubando. 

Mi accovaccio a terra, chiudendo le braccia sulle ginocchia flesse al petto e colloco il capo su di esse, come un fedele nel vivo della sua preghiera orientata a quell'essere soprannaturale che, secondo le Antiche Scritture, dovrebbe salvare il mondo dall'oscurità e dalla perdizione. Se ne avessi le forze, mi inginocchierei anche dirimpetto alla vetrata principale, chiedendo perdono e pace, un dannato concetto escluso ai deboli.

La mia espressione deve risultare avvilita per chiunque, anche per un individuo come Ryan che sta contemplando questo dramma, che Johnson definirebbe poetico, con un tale disturbo da spingerlo a fuoriuscire dall'acqua, assistendo alla scenata con la sua solida muscolatura che intima agli altri di non avvicinarsi.

La professoressa si abbassa alla mia altezza, provando ad instaurare un rapporto verbale o qualsiasi altra cosa possa agevolare il mio rialzo. Persiste un vivace scambio di sguardi tra lei ed il ragazzo della prima corsia, una complicità indiretta a proposito della mia futura sorte: la prima è indecisa su ciò che possa aver causato tale comportamento, non ripone molta fiducia nemmeno nelle sue medesime qualità di allenatrice. Quanto vorrei dirle che si sbaglia...

Storm SoulWhere stories live. Discover now