Capitolo 6. Avanti.

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Grace.


Una settimana dopo.


Avanti. Devi. Andare. Avanti.

Glielo aveva ripetuto per mesi anche la sua psicoterapeuta: doveva smetterla di indossare solo abiti grigi e cominciare a dipingere il suo futuro con colori nuovi.

Persino il giornalismo era andato avanti. Aveva mollato gli ormeggi sicuri della carta stampata e dell'inchiostro nero e si era auto rivoluzionato: pc, tablet, cellulari e tastierine bluetooth. I giornali erano diventati digitali, le notizie volavano da un social all'altro alla velocità della luce... Lei, invece, era ancora impigliata in una rete di goffo perbenismo provinciale. Gli anni a Charlotte, in questo, non l'avevano cambiata.

Era da una settimana che cercava di scrollarsi di dosso quell'urlo gutturale e animalesco che aveva sentito provenire dalla stanza del capo.

Christine, l'unica donna oltre lei in quella stanza, era solita indossare le cuffie al lavoro, per stare più concentrata e, quindi, non era sicura che l'avesse sentito. In ogni caso, non le era sembrato affatto scossa...

Di sicuro, non lo erano sembrati i ragazzi. Così, quello che avrebbe dovuto ricordare come il primo giorno in una redazione innovativa – quello del Magazine, nonostante la sede in uno sputo di posto dimenticato da Dio, era uno dei format più moderni di tutta la Carolina – si era trasformato in qualcosa che non sapeva definire, ma che, di sicuro, non era piacevole.

Il signor Evans... Archie... era solito comportarsi così? Doveva fare l'abitudine anche a quello? Perché non era sicura di poterci riuscire.

Anche perché, ingenuamente, aveva sperato che quegli sguardi che le aveva rivolto il giorno del colloquio nascondessero la scintilla di un sentimento che, dopo quanto accaduto a Emily, non si era più concessa di provare.

Avanti, si ripeté, come un mantra, mentre con la sua bicicletta lilla attraversava il dedalo di strade che, da casa di zia Paige, la separavano dal liceo cittadino.

Lì aveva appuntamento con Brendon, che oltre a fare il cronista era anche il fotografo del giornale, e con Cooper, che, in qualità di chaperon si era autoinvitato per farle da "spalla" anche sul campo.

Avanti.

Se tutto sarebbe andato per il verso giusto, l'indomani, sulla sezione sportiva del Magazine, sarebbe uscito il primo pezzo a firma di B.G.

Sapeva che nessuno aveva ben capito il perché della sua richiesta: non solo firmare gli articoli con le iniziali puntate – cosa non troppo usuale negli ultimi tempi, ma comunque non troppo strana – ma, addirittura di invertire l'ordine: prima il cognome e poi il nome.

Non poteva certo dire a tutti che aveva un segreto da custodire, pensò, mentre scendeva di volata dalla bici, che parcheggiò contro il muro della palestra dei White Cobs.



L'aria che si respirava in quella palestra sapeva di maschio sudato e cibo fritto. Ma Grace non poteva lamentarsi, tutto sommato era riuscita ad intervistare in esclusiva sia Walter Thomas, il coach dei White Cobs – la squadra di basket del liceo -, che il capitano della squadra, Jacob Wayne, che le aveva confidato di voler stracciare tutti i record, e diventare il miglior marcatore della storia dei campionati liceali di basket.

Il tutto, ammise, con il parquet della palestra che scricchiolava mentre le due squadre locali duellavano a suon di canestri, era merito di Cooper.

Quella sera era stato molto più di un collega o di uno chaperon. L'aveva messa a suo agio e, complice anche il set fotografico di Brendon ai giocatori, l'aveva aiutata a rompere il ghiaccio in una stanza dove il maschilismo, giornalistico e non, imperava indiscusso.

La fenice spezzataWhere stories live. Discover now